Pagine

giovedì 26 dicembre 2013

Buongrasso Natale, postumo

Natale è sempre un'esperienza mistica. Stancante come poche. Un tour de force alcolico e mangereccio che non  lascia scampo. Ogni  pranzonsegue lo stesso copione da anni, con noi cuginiche ad un certo punto spariamo. La diferenza è che se da bambini sparivamo per andare a giocare, adesso ci imboschiamo sul balcone a fumare.  Il problema non sono i genitori, ma i nonni, che ci credono ancora astemi e con i polmoni rosei ed incorrotti.
Novità rispetto agli anni scorsi è stato il mio passaggio al drum.
Tra gli spiantati studenti universitari rollarsi le sigarette è praticamente lanorma. Nessuno si stupisce se ad un certo punto della pausa  tiro fuori dalla borsa cartine e tabacco, non avevo calcolato il gap generazionale.
Il primo grande shock lo ha avuto mia madre. Tirato fuori il tabacco, memtre allegramente mi giravo una sigaretta, sentivo su di me il suo sguardo inquisitore.
- Mamma, che c'è?
A sventurata non rispose.
- Mamma?.
Sguardo drammatico e contrito. Negli occhi della mia genitrice leggo che lei non ha più una figlia, che sono stata diseredata e chesulla mio progenie cadrà una maledizione, fino alla settima se non l'ottava generazione.  Il furore nonpuò essere contenuto nei suoi occhi.  Il suo cuore è spezzato a causa di questo frutto dei suoi lombi cheha deviato dalla retta via.
-Platypus,  dimmelo adesso: siamo sicurisia tabacco?
-Prego, Madre?
-Non è altro, vero?- la drammaticità è palpabile.
-Ma, ma ti pare?
La genitrice mi abbraccia, la  figliola prodiga è tornata all'ovile, è tempo di ammazzare il vitello grasso.
Anche a lavoro ha Napoli ho incontrato seri problemi. La pausa pranzo non è mai stata così imbarazzante.
Passa il primo collega:
-Ma che ti stai facendo una canna?
-No, è una sigaretta.
E così via, fino all'arrivo del datore di lavoro.
Mi guarda, lo guardo. È imbarazzato. Si fidadime, crede in me, mi ha dato fiducia, ed io sono lì.
-Platypus,  ma che stai facendo?
Ed io, grulla fino al midollo.
-Sono in pausa.
-Si, no, io dico... cosa hai in mano...
Lo guardo. Realizzo.
-èuna sigaretta.
-Non sembra.
-È rollata.
-Ah.
-Già.
-Allora, buona pausa.
Anche tra i parenti a casa c'è stato dello sconcerto.
Mio cugino mi ha detto che non le so fare.
Mia sorella si è disperata perchè non potrà più scroccare.
Mia zia ha voluto provare.
 Come ogni anno non è mancato loscherzone, ovvero la coalizione per convincere il parentado di qualcosa di falso. Due anni fa fu la conversione di mia cugina al Buddismo.  L'anno scorso il matrimonio di mia sorella. Questa volta è toccato a mio cugino, con ula sua cresima voltata a pegno d'amore per  una bella e religiosa. 
Io  adesso vado a sciagattare nel mio stagno. Auguri passati a tutti. Vi lascio con questa mia immagine.
Io sono proprio così in questo momento: pigiamone in paile con con molla del pantalone allentataper non far soffrire il pancino gonfio. Che, per amor di coerenza, sgranocchio cioccolatini con mia sorella,  guardando "A Christmas carol".
Saluti, baci e calorie,
Vostra e rotolante,

Platypus



lunedì 23 dicembre 2013

Lavorare in un negozio a Natale, ovvero Non sparate sulla stagista

Lavorare in un negozio a Natale è una grande emozione. Gente, tanta gente, troppa gente. Misantropia portami via. Per carità, sapevo sarebbe stato così.  Non sono una sprovveduta. Però devo dire che mi sto divertendo non poco. Alla fine quella di tajarsela [nda: nel senso romano del termine, riderci su] sempre e comunque resta la soluzione migliore.
In questo mio stile di vita sono aiutata anche dalle persone con le quali e per le quali lavoro. Le conoscevo già tutte, dato che questa estate avevo già passato un mese tra il loro negozio e l'ufficio. Mi hanno preso in simpatia, nonostante io li abbia quasi avvelenati, salando il caffè. Già, ho fatto il caffè per dei napoletani: quando si dice masochismo. 

La cosa sulla quale ho deciso di tajarmela di più sono i clienti. Noi vendiamo Cose. Non andrò nello specifico. Vendiamo Cose di Moda, sia per donna che per uomo. La clientela è molto, ma moolto variegata. 
Un flusso continuo di gente, gente tutta diversa: da quello che entra in negozio alle 19.57 con il 

BISOGNO ASSOLUTO di una Cosa blu a pois bianchi e che, quando non la trovi perché a fine giornata è rimasto poco, PRETENDE che tu lo aiuti a trovare una cosa sostitutiva, che

comunque non gli piacerà e comprerà controvoglia, alla signora che prova a convincerti a farlelo sconto su un Cosettina da 30 €. Signò, non accadrà, né in questa vita né in un'altra.
La cosa più divertente sono quelli che arrivano e ti buttano lì: "Devo fare dei regali, delle Cose".
"Quante?","Venti". E stanno lì a baccagliare per ognuna. Zio buono, padre altissimo onnipotente, stai comprando venti cose, il che mi fa pensare che si tratta di venti poveri stronzi dei quali poco ti frega e che sicuramente ti devi tenere buoni: incassa le Cose che ti passo io e taci. Ci sono poi i clienti che non ti parlano, ti guardano lievemente schifati e man mano che scelgono ti lanciano le Cose addosso. Ne prendono in numero spropositato, quando con gli occhi manzi mi dicono che sono clienti da tanto, che per la fattura i loro dati sono già in database ed io, angelica, serafica, gli dico che sono solo la stagista. E li passo al collega più spallato e scazzato che trovo in giro. C'è anche la variante dello sguardo languido che chiede lo sconto e mi dice: "Mi scusi, sa, io voglio risparmiare, sono un lavoratore". Perché io sto qui a fare la pedicure ai criceti. O anche: "Signorina, ma me lo potrebbe fare più in fretta questo pacchetto? Sa, io starei lavorando, sono giusto passato". Ed io sempre lì a fare nail art a piccoli roditori domestici.

Ci sono anche clienti simpatici, quelli che si fanno seguire e che poi ti vengono a cercare in giro per il negozio per ringraziare e salutare prima di andare. Una tipa si stava offrendo di comprare anche me. Dato che aveva un cappottino rosa e delle ballerine cipria con il cerchietto tra i capelli intonato, ho rifiutato l'offerta, già immaginandomi in un porta cani di Hello Kitty. Ho la mia dignità. Ci sono clienti che provano a rimorchiare. In maggior parte donne.


Tipo una che doveva comprare delle COSE, bypassando completamente il mio
consiglio, si rivolge ad un altro cliente:"Devo fare un regalo ad un ragazzo di quindici anni-non mio figlio, perché io non ne ho e non sono sposata. Che ne pensa?".
Amori in boutique.

Gli incontentabili sono poi una categoria della quale ho sempre grande ammirazione. Per essere così incontentabili serve una patente.
-Mi scusi, avrebbe una Cosa sgaglioffata a sinistra?
-Guardi, è difficile, controllo. Ecco, no, l'ho molto simile, ma la sgaglioffatatura è lievemente inclinata verso il basso.
-Ma io la volevo sgaglioffata a sinistra. Per lo meno ha una con lo sprampilino dorato?
-No, lo sprampilino dorato non lo trattiamo.
-Come non trattate lo sprampilino dorato?
-No, non è un nostro prodotto.
-Non avete la sgaglioffatura a sinistra, non avete lo sprampilino dorato, in questo negozio non c'è niente.
In un negozio pieno di merce.

O i perplessi.
-Mi scusi, ma queste Cose cosine fiorate maschili, non sono un po' femminili?
-Sono cose vezzose per uomini.
-Ma gli uomini non mettono le cose a fiori.
E verrebbe da rispondergli che tanto nel 2050 saremo tutti bisessuali, Galimberti dixit. E che queste sciarpe allora saranno meravigliosamente vintage.

Per fortuna ci sono i colleghi, le pause ed anche il datore di lavoro.
Lui è una bellissima persona. Mi ha preso a fare lo stage questa estate senza alcuna esperienza pregressa, mi continua a chiamare per lavorare quando hanno bisogno e MI PAGA. Così non così tanto scontata. Mi ha affidato responsabilità, ci ha creduto e crede in me. E anche questa non è una cosa scontata. Mi aspettavo di essere la stagista schiava, invece no. Io che mi ero preparata, che ero stata preparata, da altri amici ad un mese di passioni, umiliazione e sfruttamento, mi sono trovata benissimo. Un po' come in Canto di Natale, quando il fantasma del Natale Passato fa vedere a Scrooge il suo Natale da ragazzo, da giovane impiegato. Presente il datore di lavoro che ferma il lavoro ed organizzala festa? Appunto.

Per fortuna c'è Napoli. Per fortuna c'è l'amica che mi ospita, con la quale sto ore a parlare di tutto e con la quale continuerei a parlare ore ed ore.

Per fortuna domani torno a casa, dato che ho le gambe gonfie come quelle di un mammutt.

Arriverò nel pomeriggio, poche ore prima di Gesù Bambino.

Citando mia nonna: - Ma non lo hai amore di famiglia?

Citando mia madre: -Ma almeno ti ricordi l'indirizzo di casa?

Citando mio padre:-Ma ti devo venire a prendere dall'autobus?

Citando mia sorella:- Ma hai avuto il tempo di farmi il regalo?


Vostra sciagattante, impacchettante e stanca,

Platypus




venerdì 20 dicembre 2013

Avventure ad alto tasso di distrazione- vol.2 -La cucina

Viva la pappa col pomodoro. A saperla cucinare. 
"Se ha cucinato di nuovo Platypus, il popolo
affamato fa la rivoluzion"


Io non sono capace. Eppure nella mia famiglia ci sono cuoche sopraffine. Risalendo di generazione in generazione, si trovano donne forti, volitive, con i capelli ricci ed un impero in cucina. Il dono della capacità si sfamare le genti deliziando i palati è adesso forte e chiaro in tutto il ramo femminile della famiglia, con qualche punta in quello maschile. Le mie nonne, le mie zie e persino la mia generazione. Mia sorella a sette anni, mentre giocava con acqua e farina, per sbaglio fece un ottimo impasto di focaccia. Contemporaneamente io, per sbaglio, mi disegnavo barba e baffi con un pennarello indelebile, regalandomi un look da Robin Hood che mi avrebbe accompagnato per i successivi due mesi.
Questa mia mancanza mi accompagna da tutta la vita. Con la differenza che quando vivevo a casa con mammà e nonna non me ne accorgevo. Adesso quando mangio qualcosa cucinato da me penso che vorrei essere una cuoca migliore. Di solito lo vorrebbero anche le poche persone che hanno rischiato il tutto e per tutto mangiando qualcosa da me cucinato. Alla fine non faccio grnadissimissimi danni, tipo mi dimentico le cose.
Tipo il sale.
O le pentole sul fuoco.
"Platypus, vuoi che muoro? Mi stai diludendo.
Questa è suola di scarpa Nike contraffatta in Cina"
Mia sorella guarda con sospetto ogni piatto di pasta che le piazzo davanti, da quando una volta misi lo zucchero al posto del sale. Al lavoro, qui a Napoli, questa estate ho salato il caffè. A casa, una delle pochissime volte che mi venne voglia di cucinare, ho dato fuoco ad uno straccio. Ma fuoco serio, con una fiammata di quelle memorabili. Al conto dei morti e feriti possiamo aggiungere senza indugio innumerevoli pentolini da buttare a causa del mio essermi dimenticata il Ciobar sul fornello. Che, nel caso ve lo stesse chiedendo diventa appiccicoso tipo la colla usata dai calzolai. Magari non fai merenda, però ti ripari le suole che è una meraviglia.

Il mio è un caso apparentemente senza speranza, dato che l'unico altro caso di inettitudine in cucina fino a età post adolescenziale è stata mia madre. Narrano le cronache che, nella gestione domestica, da ragazza mia madre preferisse le pulizie alla cucina, accollandola a mia zia. Pare che, giunta alla vigilia del matrimonio con mio padre, mia nonna materna sia cascata dal pero, realizzando che, pur avendo trovato un santo uomo che si prendesse mia madre, l'unione era a rischio: mia madre non sapeva cucinare. Il giorno delle nozze arrivò e l'augurio di mia nonna fu: "Beh figlia mia, ci rivediamo tra tre mesi quando ti rispedisce a casa da me". 
Tralasciando la tribalità della faccenda, mia madre ha dimostrato che la genetica era più forte dell'odio per la cucina, raffinandosi e raggiungendo vette eccelse. Il picco è stata la scoperta dell'equazione cibo=aMMore, dopo che io e mia sorella siamo partite per l'università. 

Per il momento non mi resta che confidare nella genetica, raccogliendo come una spugna i consigli da chi è più bravo di me in cucina, roba del tipo:
  • Se non hai tempo, ma hai bisogno di un piatto ricco, cucina in grande quantità e poi congela. Funziona specialmente con i legumi (Madre)
  • Ogni volta che mi avanzano delle verdure grigliate o al forno le uso per condire il cous cous (sorella)
  • Se ti avanza del riso o della pasta, facci una frittata (nonna)
  • In una casa non devono mancare mai il pane e il latte (amica di famiglia)
  • Metti un cucchiaio di legno di traverso sulla pentola, per evitare che l'acqua salga oltre il livello (cognato)
  • Il tonno!! (qualunque studente fuori sede).

Io confido, imparo e annoto, ma il risultato rimane sempre questo:



Vostra sciagattante e con la bocca ormai insipida,

Platypus


martedì 17 dicembre 2013

Trains

Una premessa doverosa: a me viaggiare in treno in condizioni se non ottimali, ma almeno non da aiuto umanitario piace. Mi piace più dell'aereo, più della macchina, probabilmente per colpa di J.K. Rowling e dell'Hogwarts Expresso, probabilmente per il paesaggio che si sussegue da fuori al finestrino. 

Però chi ha inventato la tratta del treno regionale Roma-Napoli merita l'inferno. Già me li vedo, i loschi vertici di Trenitalia che decidono di mettere le Frecce e gli Intercity ad orari impossibili, offrendo invece un regionale ad orari comodi ed accessibili al mondo, con in più lo specchietto delle allodole dell'economico prezzo di  11,60€. 
Dwight Schrute si esprime sui treni regionali
Ed ecco che l'umanità si riversa sul treno, creando un improbabile tetris umano, nel quale io finirò sempre spiaccicata al finestrino con il manico della mia valigia nel rene sinistro. Accanto a me una signora che si lamenta degli immigrati, dall'altro lato una bellissima donna di colore che si lamenta della signora e dietro di me un bambino che trova la posizione più comoda del mondo seduto per terra e con la testa appoggiata sul mio sedere. Quando provo a muovermi la madre, donnina piccola e delicata quanto un main Battle Tank, mi intima di rimanere immobile, per non turbare i sogni dell'angioletto. 
Grazie al cielo si tratta di un regionale, quindi più o meno a tre quarti del viaggio riesco a guadagnare un posto a sedere, lottando con le unghie e con i denti, ma senza dover fingere di essere incinta, che è sempre una bella cosa.
Non starò a narrarvi del ritardo o delle condizioni dei bagni, bagni che il controllore ha candidamente affermato di aver chiuso, onde evitare che a partire dal treno si sviluppasse un'epidemia su scala nazionale di qualunque cosa. Ho preferito non indagare.
La cosa che più mi tormenta è che io questo viaggio l'ho dovuto fare relativamente poche volte, ma c'è chi lo fa ogni giorno (magari non tutta la tratta, ma grandi pezzi). Ogni giorno sgomitare, soffrire se il treno fa ritardo. 

C'è un altro treno che però prendo spesso, la Freccia Argento che da Roma mi riporta nelle Puglie. Lì per lo meno ho il posto a sedere, ma l'umanità resta molesta, dato che ho un certo non soche per trovarmi sempre nel vagone nursery, con una concentrazione di bambini sotto i tre anni che fa venire seri dubbi sulle statistiche del calo delle nascite. Che poi io sono anche una di quelle persone fortunate, che se prendono il treno con un reggimento di aitanti soldati ed un gruppo di suore che va a sentire il papa, si trova ad interrogarsi sull'ordine di appartenenza delle sue vicine di posto. 
A volte però sulla Freccia Argento i posti non ci sono, se non in prima classe. Ma anzi a questo punto per quel prezzo prendo l'aereo. Ma spesso anche l'aero a quel prezzo ha oprari improponibili. Allora ripiego sull'Intercity, troppo spesso notturno. 

Alla scenetta del regionale si aggiungano uova di Pasqua/regali di Natale, guasti al locomotore e studenti in pena che provano a fingere di studiare su fogli volanti con sopra stampate delle slide. La folla si ammassa e vive assieme per sei lunghissime ore (non scendendo al capolinea). Anche i normali rapporti di cortesia vanno a quel paese quando la valigia del tuo vicino ti crolla in testa per la decima volta. 

Ogni anno la stessa storia. Ogni giorno per i pendolari. 

Forse non sono le persone troppe. Ma il servizio ferroviario un attimino difettoso (eufemismi mon amour).

Da qualche parte del mondo, ogni volta che parte (in ritardo) un treno regionale o un intercity, sardine in scatola cominciano una raccolta fondi per noi esseri umani. 

Da qualche parte nel mondo, c'è un dirigente di Trenitalia che se ne sbatte e prenota il biglietto dell'aereo.

Da qualche parte a Napoli, io sciagatto e rifletto alla sera, dopo una giornata del mio bellissimo ma stancante lavoretto stagionale.

Vostra,

Platypus

lunedì 16 dicembre 2013

Gli uomini e le donne sono tutti stronzi

Ieri sera un'amica, non del tutto lucida, un po' etilica vah, mi ha detto: "Gli uomini sono tutti stronzi", con buona pace del nostro povero compagno di corso, che lì ascoltava ed in realtà se la rideva.

Gli uomini sono tutti stronzi. Penso sia una frase che ogni donna abbia pronunciato almeno una volta nella vita. A quanto ne sappiamo è una frase che abbiamo tatuata sulle ovaie. Che sia dopo una rottura, dopo un appuntamento andato male, dopo una parola di troppo o dopo averlo trovato a letto con una con la faccia da capibara, tutte ci siamo passate. Esiste anche il corrispettivo maschile, "le donne sono tutte stronze", frase che ha la maggiore percentuale di pronuncia dopo il due di picche.
In realtà non tutte gli uomini sono stronzi. Non tutte le donne sono stronze.
Sono arrivata a credere che il problema stia nella maniera in cui ci percepiamo, un sesso con l'altro. 

Perché gli uomini sono stronzi? Perché non sono all'altezza delle nostre aspettative.
Perché le donne sono stronze? Perché non sono all'altezza delle vostre aspettative.
Ma queste aspettative sono reali?

Non posso parlare anche per il lato maschile, ma per quanto concerne il femminile, un paio di idee me le sono fatta. Il problema di noi donne è che cerchiamo un uomo che in realtà non esiste. E questo vale per tutte, anche quelle che in realtà cercano l'anti-principe azzurro, in realtà sono alla ricerca di qualcuno che non esiste. Non sto dicendo che la nostra vita sa un susseguirsi di gente sana, ma che non corrisponde alla nostra delirante idea romantica. No, ogni tanto di stronzi se ne imbroccano, e a volte pure colossali. Però è raro che una ragazza sia contenta al 100%. C'è sempre un difetto, un qualcosa, che se non avessi ti renderebbe perfetto. E proviamo a cambiarli. Ma la sapete una novità? Certi dettagli si possono smussare, livellare, ma non cambiano mai. 

Recentemente ho letto un libro, "Vogliamo la favola", di Simona Siri. Lo so, lo so, non grande letteratura. Eppure esplora l'educazione sentimentale media della donna nata tra gli anni Settanta ed i primi Novanta, e lo fa con ironia, con una giusta dose di allegria. Il concetto che sta alla base è il solito: non è colpa nostra, è che ci insegnano così. Ci insegnano ad aspettare il principe, che un uomo se ci ama cambia (sic), che il bello e dannato è frutto della letteratura ottocentesca romantica e di Candy Candy. Tacendo poi dei classici Disney. Noi siamo cresciute a suon di Biancaneve che trova nello spazzare casa la sua realizzazione e canta inebetita fissando il pozzo, Cenerentola che invece di sbattere la porta sul muso della matrigna è lì che elemosina affetto da una famiglia disfunzionale, Ariel che pensa bene di passare da un padre padrone a un uomo che la porta via da casa sua, in maniera definitiva, Aurora che imbrocca a parlare e a uscire con gli sconosciuti. Con Mulan avevamo grandi speranze, ma ecco, arriva il matrimonio a legittimare il suo rompere le regole. Merida era ancora fantascienza.
Da piccole però queste cose non le capivamo. Vedevamo solamente un uomo che nel momento di massimo disagio arrivava a salvarle, come i nostri padri correvano da noi appena cadevamo dalla bicicletta e ci sbucciavamo le ginocchia. E la maggior parte delle bambine si convinceva che anche nella vita sarebbe successo questo.

Le bambine crescono, pronunciano la frase "Tutti gli uomini sono stronzi" e non ci sperano più. Diventano indipendenti, si salvano da sole. Però in fondo ci sperano sempre un po': prima o poi arriverà quello non stronzo, che, senza che sia necessario chiedere, ci salverà.

Oppure, come la sottoscritta, aspirano ad avere tanti gatti, un buon tè ed un buon libro.

Vostra e sciagattante,
Platypus


venerdì 13 dicembre 2013

Di già?

Siamo ancora al 13 di dicembre e già la gente si preoccupa della fine dell'anno. Il caro Mark Zuckerberg, non pago di sapere tutti i fatti miei, ha aggiunto una simpatica funzione, che sta lì, minacciosa sul mio profilo:


Mark, caro, parliamone. Sei veramente sicuro di quello che stai facendo? Vuoi veramente riesumare ciò che è stato seppellito da condivisioni strategiche, rimozioni di tag opportune et simili? Mark lo vuole. Allora io ci provo. 
Se dei momenti selezionati da Mark caro ce ne fosse uno veramente importante, beh, potrei dire che la cosa funziona, non è male. In realtà sembra che Facebook prenda gli ultimi due mesi dell'anno, li reimpasti e morta lì. Certamente, fare l'albero di Natale con le mie amiche è stato importante. Per carità, anche vedermi con mia sorella a Milano. Ma considerando che vengo da un anno in cui mi sono laureata, ho viaggiato, sono stata un mese fuori a lavorare, dire che facebook ha, al solito preso un granchio. Quale fosse il criterio e l'algoritmo utilizzato, al solito, non è dato saperlo. La suddetta foto carnacialesca è la mia foto con più mi piace in assoluto, eppure mancava. Quindi non è la popolarità, il numero dei mi piace. L'importanza personale non credo affatto, anche perché dubito che tra i tanti algoritmi ce ne sia qualcuno capace di entrare nella mia mente sciagattante.

Il mistero perdura, ma questa fregola di commemorare l'anno che sta finendo (o che non finirà per almeno altre due settimane, quindi diamoci una calmata), ha preso anche Youtube. 
"What does 2013 say?" è un video che impasta le canzoni ed i video più popolari dell'anno, realizzato con i più famosi "youtubers". Posso dire con soddisfazione che di questi ho riconosciuto solo Overly Attached Girlfriend, in quanto anche simpatico meme. 
Ciò che mi ha turbato è stato il conoscere e riconoscere le canzoni ed i loro video, il finale di serie di Breaking Bad, "What does the fox say?", la pubblicità della Dove e Prancercise.
Una mole di informazioni non indifferente da ricordare e riconoscere. Io che non ricordo ancora quale interruttore accende cose. E per forza se sto a ricordarmi di queste cose!
Il punto è che tutti hanno quest'ansia di ricordare e scegliere i momenti salienti. E poi? Gli altri momenti? Li buttiamo al secchio?
Che poi l'anno non è ancora finito. In quindici giorni ne può succedere di roba.

Vostra sciagattante e perplessa,

Platypus



martedì 10 dicembre 2013

Avventure ad alto tasso di distrazione, vol.1

Ieri dovevo andare in università di pomeriggio. Alle 18.00, che è una cosa contro qualunque diritto dell'uomo, ma pazienza, si trattava di faccende extracurricolari. Amen. 
Dopo un week end ricco di soddisfazioni, comprensive di far tardi ogni sera ed alzarsi relativamente presto al mattino, lunedì pomeriggio ero uno straccetto per pulire per terra. Ma seriamente. Dopo pranzo sono collassata sul letto senza alcuna dignità, la spoglia orba ed immemore. Ovviamente mi sono addormentata in una posizione improponibile, ancora adesso ho la scapola che ancora mi rinfaccia il fatto di essere quasi diventata ala. Il braccio sinistro ha chiesto vendetta per ore. In questa mia fretta di collasso, non ho puntato la sveglia. Poco male, quanto può durare un pisolino pomeridiano post prandiale? Nel mio caso sempre troppo. 

La mia concezione di divertimento a letto
Non è colpa mia. A me dormire piace, specie d'inverno, quando fa freddo. Comincio una simbiosi col piumone, il calzino dalla caviglia risale il polpaccio, le maniche si allungano a coprire le mani lasciando fuori le dita,  la sciarpa diventa filtro per il mondo esterno, solo la punta del naso fuori. E dormo, al caldo e pigra. Si tratta dello stesso motivo per cui la domenica mattina non mi alzo dal letto fino all'ultimo momento utile, rimanendo a leggere sotto le coperte per ore, senza sfidare il gelo del mondo esterno.Io e il mio piumone, altro che Me and my Bobby McGee.

Il problema è che ieri, quando sono emersa dalle tenebre, ho lanciato un'occhiata distratta all'orologio. Il panico. La piccola Bianconiglia che è in me ha messo in moto la macchina infernale: denti, trucco, borsa, cellulare, borsellino del tabacco, scarpe, capelli, CAPELLI, argh, testa in giù e scuoti tutto, orecchini,, allaccia la scarpa, chiavi, abbonamento, porta, portone, autobus in lontananza, scatto felino ed autobus preso al volo. Mi installo su un sedile. Anche oggi ce l'ho fatta.

Attorno a me bambini. Con le mamme. Bambini appena usciti da scuola, letteralmente di ogni sfumatura che non fosse il bianco. E le mamme anche. Chi cl velo, chi con la coda, chi con le treccine e questi nanetti che ridevano, si chiamavano e scherzavano. Le mamme con l'accento straniero, i bambini con una calata romanaccia che lèvate. Belle scene multiculturali a Roma Sud. 
Un piacevole cambiamento dalla nonnina che ti fa spostare dandoti colpetti sulle caviglie con il bastone. Roba che a confronto quella di Zidane non era una testata, ma un dolce metodo per fare le fusa.

Facevo queste riflessioni, pensavo a che bello il mondo, specialmente quando riesci a sederti sull'autobus, e poi mi dico che magari è un attimo il caso di avvisare la mia amica che farò un po' di ritardo. Estraggo il cellulare dalla tasca, apro WhatsApp, ma qualcosa mi ha disturbato. Ho posato il cellulare. Attorno a me, tutto normale. Il paesaggio fuori, idem. Scarpe? Allacciate.Borsa? Chiusa e poggiata sulle gambe. Capelli? Non impigliati in niente. Smalto non scrostato, nessun odore molesto, nessun rumore molesto. Non capivo. 
Riprendo il cellulare. Riapro Whatsapp. 
Ancora disagio.
"Qualcosa mi ha disturbato. Non so
esattamente cosa, ma qualcosa mi ha disturbato."
Il cellulare non era troppo caldo, non c'erano macchie sul display. Avrò ricevuto qualche messaggio? No, nessuna icona lampeggiava. Ma allora cosa, cosa? Ho controllato lo stato della memoria, controllato le conversazioni, l'ho spento e l'ho riacceso. Ci ho soffiato anche sopra per buona misura. Nel frattempo sono arrivata ed ho abbandonato l'autobus. Dovevo aspettare la coincidenza. Guardavo il mio cellulare. Ho accettato il disagio e mandato il messaggio. Perplessa. Mi sarei accesa una sigaretta, ma sapevo che se lo avessi fatto, al primo tiro sarebbe arrivato il mio autobus, condannandomi a buttarla o ad aspettare il successivo per i successivi vent'anni.
Molto perplessa. Mi sono grattata la testa. L'orologio si è incastrato nei capelli. Sfilandomelo dal polso, l'ho sbrogliato. In una mano l'orologio, nell'altra il cellulare. Ancora disagio. E poi ho capito. 
Avevo sbagliato a leggere l'orologio.
Quello che credevo essere un ritardo cosmico, era un anticipo imbarazzante. Di un'ora. 

Vostra sciagattante e distratta

Platypus



sabato 7 dicembre 2013

Io voto perché. Già, perché?


 

Seguire la politica mi fa soffrire. Ma seriamente.  Non solo per i baccanali, il popolino, il magna-magna, gli interessi, l'ignoranza, il culto delle personalità, dei personalicchi, delle first lady, di Dudù e di Fede. Io non soffro solo per la parte avversa o per chi gioca a fare il demagogo, sfruttando l'ignoranza, la rabbia ed il rancore. I vaffa day, i pianti, palazzo Grazioli, i nostalgici di ventenni ormai passati, i comici che non fanno più i comici ma fanno i guru... Io per queste cose soffro, mi indigno, ma almeno posso dire che non mi rispecchiano. Rispecchiano gran parte dell'Italia, e questo forse fa più male, ma almeno non rispecchiano me. 

Il guaio è quando rispecchiano me.

Non nasconderò che la famosa telefonata di Vendola mi ha fatto soffrire, come pugliese e come sostenitrice della sinistra. Citando l'opinione diffusa (da mia madre) "In propaganda son tutti buoni, poi ci arrivano, si fanno i fatti loro e si dimenticano di noi che li abbiamo votati". Mi ha sfiduciata il caro Nichi. 

Nichi a parte, il problema è la politica come è intesa in Italia. Il Politicante medio sarà responsabile delle mie ulcere.  Le ragioni della politica che fanno crollare le idee. Per esempio il PD. Il PD è un partito che non vince, anche quando la vittoria è servita lì. L'anno scorso Bersani ha giocato a perdere, altrimenti non si spiega.  Il PD: che è l'unica alternativa che vedo pallidamente in questo panorama politico, perché nella destra non  mi ci rivedo, di Grillo vedo la follia. L'eccezione poteva essere Monti che poteva batterli tutti con l'intelligenza, poi si è messo ad adottare cani e bere birra in televisione. "Mai discutere con un idiota. Ti trascina al suo livello e ti batte con l'esperienza", Oscar Wilde e sante parole. 

Ma chi mi rispecchia? In chi posso credere adesso? Che direzione voglio dare al mio voto?
Non vi nasconderò che per studiare mi sono informata poco, sto recuperando in questi giorni.  Poi dopo che mi sono iscritta alle primarie, sono stati tanto carini,  i candidati hanno cominciato un'opera di stalking di quelle rare, con mail da ciascun candidato, ognuna nel suo stile. E non che in una si capisse chiaramente cosa volessero fare di concreto.
Ma voglio votare.
In quarto ginnasio la professoressa di italiano ci diede un compito, ovvero commentare questo passo di Brecht, l'Analfabeta Politico:

Il peggiore analfabeta

è l’analfabeta politico.
Egli non sente, non parla,
nè s’importa degli avvenimenti politici.



Egli non sa che il costo della vita,
il prezzo dei fagioli, del pesce, della farina,
dell’affitto, delle scarpe e delle medicine
dipendono dalle decisioni politiche.



L’analfabeta politico è così somaro
che si vanta e si gonfia il petto
dicendo che odia la politica.



Non sa l’imbecille che dalla sua
ignoranza politica nasce la prostituta,
il bambino abbandonato,
l’assaltante, il peggiore di tutti i banditi,
che è il politico imbroglione,
il mafioso corrotto,
il lacchè delle imprese nazionali e multinazionali.

Sul momento non mi impressionò tanto. Avevo tredici anni, l'apparecchio ed avevo scoperto la matita nera per gli occhi, ed il mio elettroencefalogramma era probabilmente piatto, ma così piatto che a confronto il petto di Keira Knightely era uguale a quello di Sofia Loren.
L'ho ritrovata di recente, per caso, in un quaderno che mi sono portata a Roma, uno di quelli usati per un quarto e che sono ottimi da usare per le brutte. L'ho trovata, l'ho riletta ed ho ripensato a questi ultimi anni da maggiorenne. Ho votato in tutte le occasioni tranne una. Per il referendum sono stati necessari magheggi per farlo da Roma, per le politiche ho fatto un blitz di quarantottore, rientrando la domenica sera, stanca, stanchissima (ma con una ruota di focaccia in valigia, e scusate se è poco). Ho votato anche anche alle scorse primarie, l'anno scorso. E domani lo rifarò.

Alcuni amici non vanno, o perché non si sono informati, o perché sono disillusi, o perché sono convinti che tanto non cambierà nulla. Lo ammetto, un po' di cinismo ogni tanto viene anche a me. Però ci voglio provare.Si tratta di un mio diritto (il dovere non me la sento di chiamarlo in causa per le primarie), e diavolo se lo eserciterò! Non che le primarie servano per dare un cambiamento immediato. Però servono: con un segretario serio, con un progetto serio, si "rischia", addirittura, di diventare un partito avanti. 

Mi fanno storcere il naso le americanate, quelle dei comitati, del  merchandising, del fatto che su tre candidati uno si autoproclama l'Obama italiano, uno sembra la sua caricatura fatta da Crozza e l'altro propone un programma che sostanzialmente lascia tutto allo status quo. Però voglio credere che questo mio voto valga qualcosa. 

Anche perché 2,50€ sono un pacchetto di sigarette da dieci.

Vostra sciagattante e votante

Platypus




mercoledì 4 dicembre 2013

Tremate, tremate, le streghe son tornate

Stamattina ho dato il primo esame della magistrale, mettendo in pausa l'esaurimento che sempre mi prende in queste occasioni. Il mio problema è che in questa fase io faccio danni in tutti gli altri campi. Tipo che ieri ho cancellato per sbaglio tutti i post del blog. Li ho recuperati dalla copia cache, tutti meno uno, il povero disperso. Quindi se non ci sono più i vostri commenti, no, non sono una stronza, ma una povera cojona, perdonatemi.Esami a parte, guardo con ansia ed aspettativa al futuro, in quando cominciano ad affacciarsi delle belle opportunità. Per esempio questo fine settimana trascinerò la mia carcassa alla Fiera della Piccola e Media Editoria, a Roma. O un altro progetto con l'università, del quale parlerò (diffusamente) più avanti.

Per festeggiare la prima tappa, oggi pomeriggio shopping e caffè con le amiche. Lo shopping era natalizio, per i regali, perché meglio partire in anticipo per evitare il pienone nei negozi (illuse). Devo ammettere che il caffè è stata la parte migliore. Non solo per l'ottima compagnia, ma anche per gli argomenti.

In poche situazioni come davanti ad un caffè si può arrivare ad aprire cuore e mente. Non solo taglio e cucito, ma anche conversazioni profonde, bisogna dirlo. Quando questo accade tra due mie amiche che si sono appena conosciute, devo dirlo, mi sento molto realizzata.

-D., tu allora che progetti hai per il futuro?
-Non saprei.
-Io ho il piano marito ricco.
-Zitta Platypus.
-Io neanche quello.
-Raga, è inutile che io vi stia dicendo che sto scherzando.
-...
-...
-Bimbe, scherzavo veramente.
-Sinceramente è una cosa sulla quale io non riesco tanto a scherzare, perché sin da bambina mia madre mi ha inculcato il discorso dell'indipendenza in tutto.
-Anche la mia.
-Mi associo.

Da lì si è passate a parlare di femminismo, in un'atipica seduta di autocoscienza.

Il femminismo mi ha sempre affascinato, sin da bambina, quando la signora Banks di Mary Poppins distribuiva le fasce alle domestiche. Poi sono cresciuta, ho cominciato a documentarmi. 
In Italia tutto bene fino a quando si è parlato dei diritti. L'utero è mio e me lo gestisco io, aborto, divorzio. Poi da lì mi sembra ci si sia un po' perse. da lì sono diventate questioni di principio, o meglio, ce la si è cantata e suonata da sole, soffermandosi su questioni di principio. Le donne non sono superiori agli uomini. Le donne non sono uguali agli uomini. Le donne sono diverse dagli uomini. Questa diversità non è però limitante: possiamo aspirare agli stessi ruoli, allo stesso trattamento. Il problema è che fino a quando ne parliamo tra noi donne non cambierà mai nulla. Bisogna parlare e farlo capire agli uomini. E ovviamente riparare alle immagini fuorvianti che viene data della donna, specialmente in un simpatico ultimo ventennio. Vai nuda in televisione e diventi famosa. Sei un bel faccino e ti candidiamo in politica.
A me l'idea di essere venduta come un pezzo di carne al mercato, beh, non mi entusiasma. Così come da bambina la corsia rosa dei giocattoli mi annoiava. E penso anche a tante bambine. Ci sono due simpatici video che girano sul web, pubblicità che invitano le bambine a giocare col meccano, a diventare ingegneri. Ben vengano, dico io.

Ma in Italia di queste cose si parla poco. Anche in famiglia. Specialmente ai ragazzi. 
Io ragazza so quanto valgo. Ma se mi devo interfacciare con un universo maschile bloccato al secolo scorso, col binomio santa-puttana, mi serve a poco.

Certo, in Italia il dibattito femminista negli ultimi anni si è concentrato anche su questioni importanti. Tre anni fa partecipai alla manifestazione in Piazza del Popolo, "Se non ora quando?". Ricordo che mi fermai a parlare con una signora, avrà avuto settant'anni. Mi ha raccontato una vita di militanza, in piazza per tutte le lotte e per tutti i diritti. L'anno dopo la manifestazione mi è scaduta, quando ha cambiato il nome in "Se non le donne, chi?". Ma siamo sicuri che la soluzione del problema sia in noi? iamo sicure di non voler coinvolgere gli uomini in questa lotta?

Il problema è l'estremizzazione delle posizioni, essendo le donne le più critiche e dure nei confronti delle altre donne: se una donna vuole dedicarsi interamente alla famiglia, per me è libera di farlo. Si tratta delle libertà di scelta, si è lottato anche per questo. Allora perché viene derisa e considerata una poveretta? Se lei è felice, chi siamo noi per giudicarla? 

Alla fine siamo giunte alla conclusione che le vere femministe sono le nostre madri, le nostre zie. Sono più radicali loro nel convincerci che non verrà nessun principe azzurro a salvarci. La salvezza la troviamo da sole, lavorando ed essendo indipendenti economicamente. La salvezza la si può trovare anche nella vocazione da angelo del focolare. 
Le nostre madri sono più femministe delle femministe, quelle che si proclamano tali e si appendono a minuzie come l'abolizione del "signorina", che proclamano la libera scelta e danno addosso alle donne che hanno fatto dei fili la loro ragione di vita. Meglio mia madre che ha alternato lavoro e studio dai tredici anni. Meglio una qualsiasi madre che ha insegnato alle figlie che il loro cervello le porterà più lontano delle gambe. Meglio le madri che corrono tra lavoro e famiglia. Meglio le madri che litigano con i figli maschi perché vedono le donne come oggetti (creature quasi mitologiche, che però esistono, le ho viste).

Io tifo queste donne. In futuro a nipoti, figlie e figli di amici, miei figli (se mai), ripeterò le stesse parole di mia madre: nella vita potrai essere chiunque tu voglia, se lavori abbastanza per ottenerlo.

Vostra e sciagattante,
Platypus






martedì 3 dicembre 2013

Libri che mi hanno cambiato la vita: L'inventore di sogni, McEwan

Quando ero bambina il mio gioco preferito è sempre stato il "facciamo che". Facciamo che io ero la bambina più veloce del mondo e tu dovevi catturarmi e poi tu dicevi, tu facevi... essendo abbastanza prepotente, dopo un po' mia sorella mi abbandonava per giochi più tranquilli e meno fantasticamente sfrenati. Io da brava sorella minore la seguivo.  Il problema era che mi annoiavo con una facilità preoccupante. 
E allora ho cominciato a giocare al "facciamo che" da sola, nella mia testa. Il gioco mi è costato una vita di rimproveri a scuola perché ero disattenta, pranzi e cene con colpetti tra le scapole "raddrizza la schiena e non guardare il vuoto", ritardi cosmici a molti appuntamenti e il non avere la più pallida idea di ciò che i miei interlocutori mi dicono, clacsonate epiche quando attraversavo dimenticandomi di controllare il semaforo. 
Crescendo le mie reverie sono cambiate, adeguandosi più o meno all'età. 
Il problema è che io mi sentivo (e mi sento) giustificata in questi sogni ad occhi aperti. La colpa è di Ian McEwan e de "L'inventore dei Sogni".
Nella mia ferrea logica da bambina, se uno scrittore aveva dedicato un libro alle fantasticherie di un bambino, io ero più che giustificata a starmene ore a fantasticare. Di solito le ore che sarebbero dovute coincidere con lo studio. Ma questo non è rilevante.
 C'è da dire che il libro mi aveva conquistato già dalla copertina. Un ragazzo, con la testa da gatto. Io adoro i gatti, li ho sempre adorati. Anche quando non ero in grado di leggere da sola, mi passavo questo libro tra le mani, fissando la copertina. Era uno di quei libri che non ho capito mai bene come ci siamo ritrovati in casa, uno di quelli che girano di libreria in libreria, dei quali ti dimentichi per anni, per poi trovartelo tra le mani durante le pulizie di primavera. Ma questa copertina è tra le poche che non ho mai dimenticato veramente e che ho scoperto non essere scolpita solo nel mio immaginario.

"Maestro, non è colpa mia se sono distratta!
Sono Peter e Ian!"

-C., ti ricordi il libro "L'inventore di Sogni"?
-Si, Platypus, me lo ricordo.
-Io lo adoravo.
-Io no, La copertina mi inquietava come poche cose nella vita.
-Io la trovavo meravigliosa...
-Platypus, tu l'altra sera ti sei commossa perché mentre fumavi in cortile un gatto ti si è strusciato sulle gambe e poi se n'è andato. Quando sono coinvolti i gatti non sei obiettiva.
Ritengo doveroso aggiungere, però, che 1.C. è più una persona da cani e non ha l'animo da gattara della sottoscritta (che però non ha mai posseduto un gatto. Ma vabbè), 2.l'episodio del gatto è vero ed è stato l'highlight della mia giornata.

Ancora oggi gioco al facciamo che. Lo faccio più o meno ventiquattr'ore su ventiquattro, ogni scusa è buona. L'altro giorno, per esempio, dato che l'autobus non passava, ho pensato bene di farmi il tratto di strada a piedi. Che sarà mai con un freddo polare ed un vento tagliente?
Cammina, che ti cammina, davanti a me c'è un'altra ragazza. Ogni tanto si gira, mi guarda, si rigira ed accelera il passo. Io cammino. E poi il giochino inizia. 

Facciamo che questa ragazza è una seguita, che sta scappando, perché la seguono. Adesso finge di girarsi per controllare se stia arrivando l'autobus, ma in realtà mi controlla, si chiede se io possa essere in incognito. Facciamo che adesso arriva una macchina e comincia a seguirla, rallentando. E che contemporaneamente arrivi l'autobus. La ragazza corre verso la fermata, io le sto alle calcagna e faccio, che so, uno sgambetto all'inseguitore che nel frattempo ci ha seguito. Facc...

L'autobus è arrivato. La ragazza è salita. Io non ho avuto la prontezza di riflessi di correre verso la fermata. Ho perso l'autobus. Ho ripreso a camminare. Ho bestemmiato mentalmente in aramaico stretto, scadendo un attimino nel babilonese e, perché no, nel cipriota con un simpatico accento belga.
Mi son detta che la devo finire con questo gioco. Sono stata brava a smetterlo all'università e quando ho fatto la stage, ma mi sa che la regola del "qui non si gioca" va estesa ai tragitti a piedi. 

Facciamo che non gioco più per strada e che...

Vostra e sciagattante

Platypus

Se una sera d'autunno una passeggera

L'altro giorno tornando dall'università mi è successa una cosa molto curiosa: ho preso l'autobus da sola. Si, ok, lo faccio quasi ogni giorno, ma quando dico sola, intendo proprio sola: sull'autobus c'ero solo io. E ovviamente l'autista.  Un autobus vuoto tutto per me.
A parte la paranoia iniziale, con pensieri che variavano da "Questo è l'inizio di un film horror" a "Questa è una candid camera", devo dire che me la sono goduta. Mi sono seduta ed ho visto la periferia scivolare via nella notte dal finestrino. Solo i rumori del traffico dall'esterno, i rumori del motore e più niente. Per una delle prime volte sui mezzi pubblici ero in grado di sentirmi pensare. 
Ho addirittura stoppato la musica. Solo io, nell'autobus. 
Ne ho approfittato per riordinarmi un po' i pensieri, per ripensare alla giornata appena trascorsa, programmare un po' quella di domani. Fare una bella lista della spesa mentale.

Ho anche ripensato a tutte quelle relazioni nella vita, che per un motivo o per un altro vanno alla deriva. Purtroppo mi capita spesso, più di quanto vorrei. Amici con i quali, senza un motivo apparente ci si sente meno, sempre meno, fino a quando non ci si sente più del tutto. E non sto parlando di conoscenti, ma di amici. Probabilmente sono io incostante.

A volte li ricontatto. Mi scuso per essere sparita, per non essere stata la migliore delle persone. A volte va bene, altre volte no. A volte mi dicono "Sono impegnatissima adesso, ti richiamo io tra un paio di giorni". A volte chiamano, a volte rimango ad aspettare che il telefono squilli. Aspetto anche per mesi, prima di rassegnarmi al fatto che no, non verrò chiamata.

Fa un po' male. 

Il tragitto in autobus non è durato troppo, solo dieci minuti fino alla mia fermata. Ma quando sono scesa ho salutato l'autista. Mi sono stretta la sciarpa al collo e mi sono incamminata. Ho riacceso la musica, per sentire meno il freddo.

Quella sera ho contattato un amico, uno che mi mancava molto.

Vostra ed infreddolita,
Platypus



Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.