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giovedì 24 luglio 2014

Surreality Platypus

Dopo il reality devo ammettere che la vita in casa mia ha anche delle insospettabili somiglianze con i filmini surrealisti che Magritte e gli amici giravano nel salotto di casa. Tutti ridevano e si divertivano dannatamente, anche se ci capivano poco.

Vorrei poter dire che la colpa è da attribuire a fattori esterni, quali le pesche che ho fatto ammuffire chiudendo male il frigorifero ("Sembra che non abiti in questa casa!" "Beh, tecnicamente...") o la famosa al killer alla quale io e la mia famiglia siamo misteriosamente immuni.

Mi chiedevo del perché di tutto questo mentre giravo per la città con i denti di mia nonna in borsa, novella Edgar Allan Poe con la sua Berenice. Per fortuna il dentista era nello studio e ha potuto ripararle la dentiera, ma vi assicuro che sentire i propri passi accompagnati da un sinistro clac-clac non fa un gran bene.

Come non fa un gran bene lavorare da casa.
Mentre ero al telefono con la redazione di una rivista, mi sento picchiettare sulla testa. Il cordless incuneato tra collo e spalla, mani sulla tastiera, voce flautata e professionale, compio sforzi erculei per girarmi. Nonna mi guarda, un'espressione interrogativa.
E poi, urla.
-Con la zia stai al telefono?
Vivaci e oltremodo attivi cenni di diniego con il capo e tutto il busto.
-allora, devi dire alla zia...
Segue una lunga lista di messaggi urlata. L'unica soluzione è alzarmi dalla scrivania e cercare di fuggire dall'onda sonora. Approdo in cucina, nonna e le sue litanie alle calcagna, la segretaria di redazione che continua a discettare.

Arrivo alla disperazione, mi rivolgo alla segretaria:
-Mi scuserebbe un attimino?
-Certo.

Mi giro verso mia Nonna. Grido.
-Nonna, nan jè la zzì! [Nonna, non sono al telefono con la tua prole].
-Aaaah.

Silenzio in cucina. Silenzio dall'altro capo della cornetta.
Un sorriso nella voce, afferro saldamente la cornetta:
-Dicevamo?

Vostra e sciagattante,

Platypus

martedì 22 luglio 2014

Leggerezza

Durante il mio ultimo catch up con le amiche, quelle di sempre, quelle del banco al liceo, me ne sono uscita con un'espressione che ben descrive questo mio ultimo periodo:

Ultimamente la mia vita è un po' random.

Faccio cose, vedo gente, ma senza motivi, senza starci a pensare troppo, a volte dannatamente a caso. Ma veramente a caso, perché se A non passa, allora c'è J, dato che l'ordine alfabetico mi ha stufato. mi è capitato di parlare con gente con cui non parlavo da una vita, di comprare degli shorts più decisamente più short di quelli che metto di solito. Ho un cellulare con la fotocamera interna e selfie non vi temo, potrei addirittura farmi un profilo Instagram, anche se prima ne ero una fiera avversaria. E perché lo farei? Perché MI VA.

Con questa estate mi ha preso una strana frenesia, una frenesia che avevo sì conosciuto prima, ma in misura ridotta: voglio essere Leggera. Voglio essere leggerina, senza pensieri, frivola, vorrei essere come lo champagne, con le bollicine e che dopo un po' ti svuota la  testa.

Voglio che la gente mi guardi e mi dica: Si vabbè, ma quella ragazza non è profonda, hai visto che parla solo di sciocchezze, ride sempre, sembra proprio sciocca?

Voglio essere leggera.

Per essere leggera devo togliermi qualche peso, fare il vuoto dentro.

Il che diventa difficile se dentro credi di avere il mare.

Vostra sciagattante e frivolissima

Platypus


domenica 20 luglio 2014

Memoir familiari 4: El pueblo unido (e Sorella)

Sorella ha un animo frugale, un misto Gandhi- Madre Teresa di Calcutta.  Il suo ascetismo è vincolato alle possessioni materiali, per il cibo sarebbe impossibile,  dato che è l'unico essere umano dotato di uno stomaco accessorio per dolci e ben due in più per pizza e Mc Donalds.
A parte questo, per comprarsi una maglietta, un vestito o un pantalone, bisogna pregarla, perchè lei "Non ne ho bisogno, non esco mai, e quando le metto?".  Il suo spirito guida è Jon Snow, anche lei sente in qualche modo di appartenere ai Guardiani della Notte. In fondo anche lei abita a Milano, che ha un po' della barriera. Anche lei veste di nero e patisce il freddo. Fa una vita di sacrifici  e invece di un meta lupo ha un ragazzo metà sardo-metàugliese, che immagino sia più o meno la stessa cosa.

Questo suo disprezzo della mondanità avremo dovuto intuirlo sin dalla più tenera età.

Sorella, 5 anni di età. Estate, giostrine del lido. Sorella, si dondola placida sull'altalena, mentre poco distante, Madre si dispera correndo dietro a una favolosa fanciullina che mangia taralli, la sottoscritta, che per una volta non è la protagonista di questa storia.
Sorella si dondola, magra come un insetto stecco, la fronte corrugata, persa in profondi pensieri, reincarnazione del Dalai Lama,  a quanto ne sappiamo.  Sull'altalena accanto alla sua viene a sedersi una bambina più grande.  Me la ricordo ancora, anche dalle estati a seguire. Alta, robusta, munita di due rispettabilissime sopracciglia nere e spesse come bruchi. Prepotente come poche. La chiameremo Cosette, avendo il gusto per l'antinomia.
Sorella continua a dondolarsi. Mia madre continua a inseguirmi. Continuo a mangiare taralli e polvere. Accanto a Sorella, Cosette sale in piedi sull'altalena e comincia a darsi lo slancio. Poi la sua attenzione cade su Sorella.
-Bimba, bimba.
Sorella la degna di uno sguardo.
-Lo sai che se cado e mi spacco i denti mio padre me li aggiusta? Lui fa il dentista.
Sorella prende atto e continua a dondolarsi. Cosette non è soddisfatta. 
-Se tu cadi mica tuo padre te li aggiusta i denti. Tuo padre che lavoro fa? Eh bimba?  Che lavoro fa?
Sorella la guarda. Non risponde. Si dondola.
-Ehbimba?
Sorella sospira. Smette di dondolarsi e, con tutto l'orgoglio che solo la figlia di un chirurgo può dimostrare,abituata a dire alla gente che suo padre salva le vite, la guarda, e risponde:
-Mio papà pulisce le cabine.

Sorella si erge nel suo metro e venti di altezza, si allontana, il quarto stato al seguito. 

giovedì 17 luglio 2014

Platypus shore

Quando a un'età sinceramente troppo verde vidi The Truman Show, cominciai a fantasticare di essere in un reality show. Insieme a me lo immaginava più o meno il resto del mondo. Tra tutto questo sognare di essere seguiti passo passo, il fiorire dei reality e la mancata selezione naturale tra chi li guarda/partecipa e chi li ignora, ecco, in tutto questo, sono riuscita ad arrivare ai 22 anni. Ora, a 22 anni, l'idea di essere osservata tutto il tempo, di essere perennemente al centro dell'attenzione, che tutto capiti in propria funzione, ecco,tutto questo ha un nome: paranoia. Per questo motivo ho abbandonato l'idea di essere al centro se non di un reality, almeno di una sit com.

Il problema è che a volte i dubbi mi tornano. 
Ma mica per colpa mia. La mia famiglia gioca un ruolo molto importante in questo.

Scena: Madre e Padre hanno deciso di comprare la macchina a Sorella. Io vengo portata come testimone e misura dell'auto. Ovvero, nelle idee della mia famiglia, il mio compito era di posare nelle foto che Padre mandava live a Sorella, come unità di misura. Scoperto l'inganno, ho graziosamente declinato, ma ben altri perigli s presentavano. 

-Questa mi piace! Questa le piace!, esclama Padre, ma... non sarà un po' stretta per i passeggeri dietro?

Padre guarda me e Madre. Lo guardiamo. Ci guardiamo. Al rallenty comincio a dire no, no, neanche in un millione di anni... e poi sono seduta tra i miei su un sedile posteriore di una macchina esposta in una concessionaria. Attorno a noi la gente ci guarda. 

-Si, è proprio comoda.  

Il Padre è soddisfatto. Madre è bordeaux per l'imbarazzo. Io mi sono ritirata nel mio posticino mentale, quello felice e isolato. ma riesco quasi a sentire le risate preregistrate.

Sacre bleau.


Vostra e sciagattante,
Platypus


martedì 15 luglio 2014

Sono a casa, mamma!

Secondo la legge dei viaggi in treno, il mio vagone era l'ultimo. Roba che se fossi tornata a Puglia a piedi sarei arrivata prima. Per altre serie leggi della vita sfiga, il mio treno era pieno di aitanti militari, suore e stereotipi pugliesi che a confronto Checco Zalone (il personaggio, of course) e Antonio Cassano siedono da generazioni nella Camera dei Lord in Inghilterra.
Nella roulette russa dei posti, io ero orgogliosamente incuneata tra gli stereotipi e circondata da suore. Gli aitanti militari, che pure avevo visto salire sul treno, non erano pervenuti. In tale compagnia, le quattro ore di viaggio non sono propriamente volate, ma ero spinta dalla forza che a breve sarei stata nel posto che più amo al mondo, ovvero sulla Poang, con una birra ghiacciata a guardare la finale, meravigliandomi della beltà di Hummels. 

Ci sono state delle prevedibili difficoltà nell'abituarmi alla casa materna. 
Il concetto di "Sono al lavoro al computer/telefono" non è stato ancora recepito come tale da Nonna, fiera avversaria delle nuove tecnologie e di qualunque cosa tenga occupato il telefono impedendole di svolgere il suo ruolo da segretaria. Da questa mattina guarda torva il computer, il telefono e me, a rotazione. 

Anche Madre guarda con sospetto il mio improvviso stackanovismo. 

-Platypus, ma stai lavorando?
-Uuuh-um [trad. Certo Madre, anche se ho un cucchiaino di gelato incollato al palato, puoi notare che sto battendo al computer con una velocità forsennata, mentre con l'altra mano mando un sms a G., collega, amica e ormai altra metà di me stessa e della mia mailing list].
-Non è che invece di lavorare stai scrivendo il tuo blog... quello lì, con l'animale che senti ti rappresenta... felice... felice come un ippopotamo.

Nessun posto è come casa.

Vostra e sciagattante
Ippo Platypus

domenica 13 luglio 2014

Fine del capitolo 4

Quando sono arrivata a Roma la prima volta, 4 anni fa, avevo i capelli cortissimi e credevo di non avere paura di niente.

Oggi salgo sul treno che mi porterà giù in Puglia per l'estate. Si tratta del mio quarto viaggio del genere. Come da tradizione, prenderò il treno dopo aver pranzato a Termini, con la mia amica A. 
Come da tradizione ho fatto il giro dei saluti e i miei bilanci.

Al liceo, il professore di filosofia ci raccontò la storia della nave degli Argonauti.

Gli Argonauti furono i primi a solcare il Mediterraneo con una nave, la prima nave, Argo. Erano eroi, andavano in Colchide a recuperare il Vello d'oro. Il viaggio era lungo, era periglioso e la nave doveva essere costantemente riparata, fino a quando ogni vela, ogni legno, ogni remo non fu sostituito. 
A questo punto il professore ci guardava, le lunghe mani affusolate sul mento, e ci chiedeva: 
Possiamo dire che quella nave fosse ancora effettivamente Argo?


Io sono ancora la stessa ragazza che scese dal treno a Termini con i suoi capelli corti e il trolley verde? Anche se adesso sono cambiata, ho i capelli lunghi, le valigie rosse e so che avere paura non è una debolezza? 

Si, come Argo era ancora effettivamente la stessa nave, anche io sono ancora effettivamente la stessa persona, nonostante ci siano altre vele, altri legni, altri venti che mi sospingono. Nonostante alcuni degli eroi che hanno iniziato il viaggio con me mi possano aver abbandonato lungo la via, o nonostante altri siano saliti a bordo.

La realtà è che di anno in anno, da settembre a luglio, non sono più la stessa persona, gli eroi che mi accompagnano cambiano.

Si tratta di un viaggio che non finisce mai. Ci saranno sempre falle da riparare, pezzi da cambiare. 

Ci sarà sempre un porto che chiamerò casa. 

Ma nonostante tutti i cambiamenti, dentro di me ci sarà sempre quella ragazza dai capelli corti, con tutto quello che è stata poi. 
Ogni tanto mi volterò dentro a guardarla, con un'unica grande domanda che è ancora irrisolta:

Ma non ti accorgevi che con quel taglio stavi di merda?


Vostra sciagattante e veleggiante verso sud,

Plattypus

giovedì 10 luglio 2014

Anche gli ornitorinchi hanno dei doveri

Esami conclusi oggi con l'ultima sudatissima verbalizzazione. Nell'ultima settimana ho lavorato, ma mi sono anche goduta una strana libertà, mi sono goduta Roma senza l'ansia di dover tornare a casa a studiare o a copiare appunti. Mi sono fatta delle atipiche pseudo vacanze romane.

Non sono stata la solita studentessa, non sono stata la figlia di famiglia in vacanza in Puglia. Ho sperimentato una perfetta strana libertà, alzandomi tardi al mattino senza sensi di colpa e senza essere sfrattata dal mio letto da nonna P, libera di stare fuori tutta la giornata o di ingozzarmi si serie tv stesa a letto.
una libertà che ho provato a prolungare il più a lungo possibile.

-Pronto Platypus?
-Ave Madre.
-Tesoro, mi chiedevo, adesso tu sei libera, no?
-Si, oggi ho finito tutto.
-E il lavoro che fai, puoi farlo ovunque, no?
-Si...
-Allora quando torni?
-Beh, Madre, il tempo di organizzarmi, salutare gente...
-Platypus, dai, che poi andiamo al mare insieme...
-Madre , sappi che però nei giorni in cui devo lavorare non so se potrò venire al mare.
-Vabbè, al nostro lido c'è il wifi, hai un tablet, puoi lavorare dalla spiaggia.
-...
-[vocetta acquosa] Sai, non avremo la famiglia riunita prima del 4 agosto, almeno una delle figlie vorrei godermela, eeh, se avessi saputo che di due figlie femmine non me ne sarebbe rimasta vicina neanche una per la vecchiaia...
-Madre, non hai neanche 50 anni.
-Non centra niente. Io sono qui sola, e avrei tanto bisogno di una mano, un qualcuno con cui parlare, tuo Padre è sempre al lavoro, poi mi piace andare al mare con le mie figlie, i miei due gioielli, tanto brave e lontane...
- [il senso di colpa per l'abbandono degli anziani genitori comincia a montare, mentre Madre è entrata in piena modalità Cornelia, madre dei Gracchi] dai, Madre, forse ce la farei a rientrare entro la fine della settimana...

Il tono lacrimoso viene sostituito da uno pratico e sbrigativo, vagamente polemico.
-Basta che non torni domenica che io devo andare al mare, eh.
-Il tuo amore immenso, smisurato e disinteressato al punto di dimernticarti dei tuoi bisogni non cessa mai di strabiliarmi, Madre.

Così, come Audrey Hepburn abbandona Gregory Peck, come Edvard torna in Danimarca con Julia Stiles al seguito, come Mia Thermopolis abbandona San Francisco alla volta di Genovia, così io sono stata richiamata dal nobile sangue del mio sangue in Puglia, per rispettare i miei doveri di principessa. Neanche ereditaria, ma del ramo cadetto. 

Sono la Henry Mountbatten-Windsor di me stessa.

Vostra e sciagattante,

Platypus


lunedì 7 luglio 2014

Di quella volta che...

Di ogni storia ci sono più versioni. La verità forse è una delle versioni, forse è qualcosa nel mezzo, forse non c'è o non è apprezzabile. Le varie versioni privilegiano aspetti diversi. 
La mie due versioni di questa storia hanno un preambolo in comune.

Preambolo
-Ma allora Platypus, il ragazzo con il quale ti stai sentendo?
-Tutto bene, grazie.
-Si, ma allora...?
-Allora che?
-.Allora, che intenzioni hai, vi rivedrete, vuoi una storia, vuoi passare il tempo...che vuoi fare?
-Non ci voglio una storia, non mi voglio affezionare troppo. Lui fa il pilota e non c'è mai, mettici anche il clash culturale perché è di tutta un'altra cultura...ci sto bene, ma ok, bella lì.Ci frequentiamo quando è in zona e amen.
-Quando lo rivedi?
-Domani.
-Dove lo porti?
-Ci vediamo di pomeriggio, al parco vicino casa.
-Vicino casa, perché...?
-Non fare domande di cui conosciamo entrambe la risposta.

Prima versione
 ore 15.45
C. scala la marcia in maniera aggressiva. Il tipo che ci ha tagliato la strada si becca un insulto sonoro. Seduta sul sedile del passeggero, io mormoro un rosario di bestemmie tra i denti. Il navigatore si stacca e mi cade in grembo, non riesco a riattaccarlo e divento automaticamente il supporto per TomTom che tutti sognano.

-Platypus, spiegami.
-Ti ho detto...
-Ripeti.
-Tu sai bene che io non esco propriamente con dei membri del Mensa. Così, mentre mi preparavo per uscire, il Frequentatore mi ha mandato un messaggio, dicendomi che aveva un problema. Il genio del male, che veramente, wow, sei u mito, ha deciso di farsela a piedi da fuori Roma, perché gli autobus partivano tutti più tardi. Piccola particolare, è solo che rimasto bloccato da una stradicciola che non riesce ad attraversare. Il Gra.
-Ti stai rendendo conto che gente del genere guida gli aerei sui quali viaggiamo?
-Si, infatti fino a quando non uscirò con un ferroviere, solo treno.
-Certo che...veramente.
-Lo so. C'è bisogno di più gente per far quagliare me con un ragazzo che in un team per far accoppiare i panda in cattività.

Al semaforo scatta il verde e C. parte. Mi sono fatta mandare le coordinate gps dal Pilota e io e C. siamo una squadra di salvataggio. Sono imbisciata in una maniera rara, dato che l'ultima volta che ci siamo visti per camminare da Termini a Piazza di Spagna e non prendere i mezzi, lui è arrivato con un'ora di anticipo. E che quando abbiamo preso appuntamento e lui mi ha chiesto se potesse farsela a piedi, io gli ho detto No, mai, nevr, ever.
-Platypus...tutto bene?
-C., lui non lo capisce l'italiano. Quindi non appena sale insultalo come solo tyu sai. Contiamola come la tua prova orale di dialetto pugliese. Se fai bene questa ti prendi il B2.

Per arrivare alle coordinate del disperso, il navigatore ci fa fare il giro del mondo in mezz'ora, e per poco la voce elettronica non ci chiede perché vogliamo andare proprio lì, in mezzo al niente. Sapessi. 
E lui è lì, e io speravo che vedendolo si sarebbe dissipata la mia rabbia, lasciando spazio a un'ilarità diffusa. 
Ma quando lo vedo comparire con una tuta grigia tagliata, scarpe da ginnastica con calzettoni di spugna bianchi alti, ecco, quando lo vedo così, I CALZETTONI,  no.  Non posso.

Monta in macchina, facciamo le presentazioni e C., Toscana di nascita, gli sciorina una serie di insulti con una naturalezza che potrebbe venire solo da un'infanzia passata a giocare a pallone con Antonio Cassano dentro Bari Vecchia.  Lui annuisce e sorride, fino a quando non gliene traduco un paio.

-Platypus, vi porto direttamente a casa tua?
-No, lasciaci al parco.
-Ma...
-Al parco. E scusami il disturbo.

Seconda versione
stesso giorno, ore 14.30

Al telefono con C.
-Allora ci esci?
-Si, oggi pomeriggio, mi ci sto sentendo anche adesso.
-Beh, niente, mi ha di nuovo mandato una copia dei suoi turni. 
-Beh?
-Ah...
-Cosa?
-Tra una settimana lo trasferiscono a Londra per tre settimane. Poi non sa dove.
-Vabbè, tanto tu lo sapevi che era così, no?
-Già. 
-Platypus?
-Si, poi non è che mi piacesse tanto, si di buona compagnia, ma clash culturale, lui cena alle 17.00 col risotto, non può mai funzionare così. Ci esco, se succede qualcosa, amen. Se no niente.
-Platypus?
-non lo so C., forse non sono fatta per cose di questo tipo.

Epilogo
18.30
Stazione della metro. Non siamo andati da me, ci salutiamo. 
Non ci siamo tenuti per mano, non ci siamo baciati, non abbiamo neanche accennato ad una eventuale prossima volta come durante il primo appuntamento.

La ragione potrebbe essere nei calzettoni bianchi alti. O nella mia paura di affezionarmi e soffrire quando lui viene trasferito in giro per l'Europa, anche se certamente non è l'amore della mia vita, anzi, certamente non è l'amore. 

La ragione potrebbe essere nei calzettoni bianchi o in uno shutdown emotivo. 

Però, volete mettere che storia, poter raccontare in futuro di quella volta che io e C. siamo andate a recuperare un mio appuntamento ai piedi del Raccordo.

Vostra, sciagattante et pensosa,
Platypus

martedì 1 luglio 2014

Storie di mostre e shopping

Può capitare che una mattina di sole, io vada in centro con C.

Sole, turisti, sandali col calzino, prendisole discutibili, la consapevolezza che Roma è bella, il cielo è azzurro e si può ignorare che Barbara D'Urso abbia un suo giornale. 

può capitare di vedere una mostra bellissima sui paessaggisti inglesi del '700, ci si può perdere nei colori di Turner e notare quanto Constable sia estremamente british. Ci si può anche fare due risate sulla derie de Il matrimonio alla Moda, rimpiangendo le belle famiglie di una volta.

E dopo la mostra può anche succedere di fare un giro per negozi.

C. abbranca un paio di shorts, io trovo il regalo perfetto per una mia amica. Andiamo in cassa.

Il commesso:
-Ma lo sai che gli shorts sono in offerta, prendi due paghi uno e mezzo?
Alla parola offerta C. si era già scapicollata verso lo stand dei pantaloncini, il simbolo dell'euro al posto delle pupille.

-Vabbè, mentre lei sceglie pago per me. Uso la carta.

Mentre osservavo contrita il posse, chiedendomi se la carta sarebbe stata ingloriosamente rifiutata o se altri accidenti potessero cadere, il commesso parlava con una collega. 

-Stasera sono social. Vado al cinema con lui. Alfredo. Non ho idea neanche del film. 

Poi si rivolge a me:
-Sai, ci ho messo due anni a trovare il coraggio di chiedergli di uscire.

Lì io ho abbozzato, ho preso il mio scontrino ed ho aspettato C.

Mica ho avuto il coraggio di dare una risposta intelligente, di stringergli la mano e dirgli che bravo, dopo due anni ci voleva, e sto Alfredo aveva pure detto si si, quindi non si perdesse d'animo, al diavolo tutto, alla fine il più era fatto.

E se poi mi spiegasse come si fa, ecco, anche lì sarebbe stata carina come cosa.

Vostra e sciagattante,

Platypus
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