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venerdì 26 settembre 2014

Todi limited

Sveglia alle 6.00. Mi dimentico di che giorno sia, rimando e mezz'ora dopo sorgo dal letto, ricordandomi che devo andare, ho un treno da prendere. Mentre mi lavo i denti in doccia (tip consigliato da un ritardatario cronico), mi sovviene che sarebbe stata una lunga giornata. 
Borsa, colazione per strada, corsa. Metro. O meglio, metro di punta, con il mio viso esattamente ad altezza ascella di chiunque altro. A Termini, slaloom tra le persone, passo svelto, eccomi con M. e G., pronta per andare a un evento nell'esotica e lontana Todi.

Prendiamo un treno regionale fino a Terni. Poi un autobus, poi di nuovo un treno. 

Stazione di Todi. Noi tre e un pastificio abbandonato. La cittadina, su un cocuzzolo. Tre chilometri in salita. Sotto il sole.
Troviamo la fermata della corriera. Poco lontano, una nonnina è seduta al sole con un gatto nero.

-Mi scusi, ogni quanto passa la corriera?
-Ogni dieci minuti.

Venti minuti dopo, noi tre siamo ancora lì.
E poi dieci minuti dopo ancora.

-Ragazzi, io ve lo dico, io comincio a fare l'autostop.

Con i miei occhiali da sole wannabe-Beyoncè-ma-a-10-euri-che-c'è-crisi alzati sulla fronte (psicologia spicciola: viso scoperto per mostrarmi disarmata e disarmante), per la prima volta in vita mia alzo il pollice. G. mi imita, M., essendo uomo, si tiene prudentemente in disparte.

Non sono più gli anni '60, la gente non offre passaggi agli autostoppisti.

Sembriamo i personaggi di un film di Wes Anderson, bloccati nel mezzo del nulla a fare l'autostop.

Alcune macchine si scansano, alcuni accellerano.

-Platypus, abbassa il pollice.
-Perché?
-Perché quello è un camioncino della nettezza urbana, ci sono solo due posti davanti, dietro i rifiuti e tra i rifiuti io non ci viaggio.

Passa un quarto d'ora. I pollici coraggiosi resistono.

Poi il miracolo.
un signore anziano si ferma e ci carica. 
Fino a metà strada, dove prendiamo un altro autobus. 

E poi, come in tutti i film a lieto fine, siamo arrivati.

 Passa la giornata. Ritorno.

Corriera, attesa di un'ora in stazione, treno, bus, treno e Roma.

Dove, come in tutte le giornate a lieto fine della mia vita, mi sono schiantata a letto.

Vostra, sciagattante e internascional (sic)

Platypus

martedì 23 settembre 2014

The good times are killing me

Settimane piene, pienissime.

Pazienza per il :"No, ma torno a Roma con un paio di settimane di anticipo, così parlo con relatore e correlatrice e inizio a leggermi un po' di cose per la tesi". Pazienza. Forse la prossima settimana. Forse. 

Eppure non mi posso lamentare, perché faccio cose, vedo gente, mi faccio le ossa in un campo lavorativo che mi piace e mi soddisfa. Sarà la novità, sarà che mi è sempre piaciuto immaginarmi così, che mi barcameno tra mille cose e con novità ogni giorno.

Però...
C'è sempre un però. 
Il però è che sono due settimane di questa vita e sono già molto stanca. Una stanchezza euforica, che è anche peggio della stanchezza dei periodi tristi. Nei periodi tristi, quando sono stanca, metto il pilota automatico e vado, mi immergo nella routine e amen, immusonirmi significa conservare energie. Niente di nuovo, niente che mi entusiasmi e riuscire così a non devastarmi totalmente.

Ma la stanchezza euforica. Brutta bestia. La stanchezza euforica ti soddisfa, non dico di no, ma genera sempre altra stanchezza. Un nuovo progetto? DEVO partecipare. Nuove idee per lavori già avviati, serve qualcuno che faccia qualcosa, ed ecco che la mia mano scatta, lo faccio io, lo faccio io!

Le mie occhiaie fanno provincia, il correttore è di nuovo il mio migliore amico. 
Alla sera crollo nel letto e svengo fino al giorno dopo, quando ricomincio. 
Ho i capelli un po' sfibrati e l'afa romana non è certamente d'aiuto.
Caffè e sigarette, documenti Word, Excel e Power Point, telefono sempre a portata. Mail, valanghe di mail. 

The good times are killing me.

Però...
C'è sempre un però.
Però ho un sorriso idiota stampato in iso e non posso fare a meno di raccontare alla gente ciò che faccio nella vita. lo racconto a chiunque, nessuno sarà risparmiato dalle mie valanghe di buon umore e di stanchezza. Sono come quelle neomamme che, anche se il pupo non le fa dormire più di due ore di fila, non possono fare a meno di magnificarlo a chiunque. 
Tanto che me lo hanno anche detto.
-Quanto te la tiri per sto lavoro.

Faccio cose, vedo gente, sono stanchissima e ogni attimo libero è buono per dormire. 
Ma quanto mi diverto.

Vostra e  sempre sciagattante,
Platypus

venerdì 19 settembre 2014

Come è andata in realtà. La verità vera.

In una casa della campagna inglese. Squilla un telefono.
-William,  William,  vai  rispondere!
-Tanto è tua madre! Vacci tu!
-Sei uno stronzo. Pronto?
-Katy,  figlia mia!
-Ciao ma'. Come stai?
-Comw devo stare? Male, ecco come sto.
Kate alza gli occhi al cielo e leva di bocca un corgie di pelouche a George.
-Che altro è successo, mo?
-Pippa, sta una pezza.
-ha scritto un altro libro che è stato un fallimento?
-No , sciocca! Te lo ricordi il suo ex?
-Quale? 
-Quello del locale in centro a Londra, con quel nome, il Bunga Bunga.
-Quello che ha fatto partire un embolo all'addetto stampa di palazzo? Che poi mi pare fosse amico di scuola di Willy e di mio cognato -chiede Kate, mentre baby George prova a assaggiare la cornetta. Schiaffetto materno sulla paffuta manina reale.

-Si quello. Beh, si sposa.
-Auguri a lui. Mò perché lei sta una pezza? Spiegami.
-L'ha invitata al matrimonio.
-Nooo.
-Siiii.
-Ok, adesso capisco che stia male. 
-Stare male è dire poco. Sta abbracciata alla sua Chanel transizionale, quella che le abbiamo regalato ai sei anni. Piange, porella, piange tanto.
-E ci credo. >senti ma dove si sposa questo animale?Gli blocchiamo tutto, qualcosa si trova...
-Si sposa fuori dal Regno Unito, l'animale. Aveva previsto tutto.
-Pezzo di merda.
-La duchessa di Cambridge non si esprime così.
-Ah mà!
-Intanto dobbiamo trovare una soluzione per tua sorella. Rifiutare non si può, di andare ci deve andare.
-Ma non da sola.
-Eh, il problema è che ci deve andare con uno più ricco, se no abbiamo fatto pippe.
-Non ha qualche milionario per le mani?
-No, è di questo che si lamenta.
-Mmmm...
-Senti Kate...
-Dimmi, dice la duchessa di Cambridge, mentre avvicina il nasino reale per nobiltà acquisita al pannolino del futuro erede al trono del Regno Unito e del Commonwealth. Pannolino che è pieno.
-Ti ricordi il giorno del tuo matrimonio?
-E chi se lo scorda, ma perché lo stai tirando in ballo ora...
-Ti ricordi tua sorella e i giornali scandalistici?
-Quale delle tante occorrenze?
-Il culo di tua sorella. E gli occhi di tuo cognato.
-Harry che le spizzava il culo, dici?
-Eh.
-Embè? Aspetta un attimo mà.- la duchessa si stacca dalla cornetta. - Williaaaam! Vieni a cambiare il pannolino a tuo figlio! Sta pieno da far schifo! Sta cosa l'ha presa da tuo padre, sicuro! Mamma dimmi-  mentre l'erede al trono del regno unito prende in consegna il figlio, pannolino pieno e viso visibilmente soddisfatto.
-Meh, pensavo, dato che comunque lei ha un certo fascino, si potrebbe, non so, chiedergli di accompagnarla.
-Mio cognato e mia sorella? Ma ti immagini i paparazzi?
-Appunto. Quello del bunga bunga creperà d'invidia e poi, vuoi mettere l'onore di avere un reale al matrimonio?
-Effettivamente... Ma che giorno è?
-Il matrimonio il 19 settembre, quindi bisogna arrivare lì il 18.
-Il 18 c'è il referendum della Scozia.
-E vorresti lasciare Harry a piede libero sull'isola a fare danni?
-C'hai ragione mà. Aspetta in linea, fingo di attaccare e parlo con quel pelato di mio marito.
Kate Middleton poggia la cornetta, fa un respiro profondo e chiama suo marito.
-WILLIAM!
L'erede al trono  occorre, Baby George sottobraccio come una palla da rugby.
-Che c'è? Che succede? La gravidanza?
Kate alza gli occhi al cielo. Sarà anche un reale, ma suo marito diventa un coglione quando lei è incinta.
-Il secondo principino  a posto... credo. Ho ricevuto una notizia che mi ha molto addolorato.
-Cosa, amor mio?
-Mia sorella soffre. L'ex si sposa, è stata invitata, non ha chi l'accompagni e ...eh tutto così orribile!-. La duchessa di Cambridge nasconde il viso tra le mani e singhiozza. Gli occhi sono asciutti e sbirciano tra le dita. Vede il marito che rotea gli occhi e sibila a Baby George "Ecco un'altra sceneggiata napoletana". Lei ha il buonsenso di tacere e fermare i singhiozzi.
-Del resto siamo fatti per soffrire. Mia sorella accetterà il suo fato, con nobiltà regale, derivata da un matrimonio altrui. Ma la cosa mi prostra. Anzi, mi fa stare male. sento, sento...come delle contrazioni. Alla pancia. All'utero.
-No, per carità di Dio, l'utero e il secondo principino no. Dimmi che cosa ti serve.
-Harry deve andare con mia sorella al matrimonio.
-No.
-Si.
-Nonne me s'encula. 
-Sticazzi. Tuo fratello deve portare mia sorella a quel matrimonio. A tua nonna poi glielo spieghiamo. Poi si tratta di partire nei giorni del referendum degli scozzesi.
-Quindi di allontanare Harry dalla possibilità di fare danni.
-Si. Due piccioni con una fava, quella di tuo fratello.
-Sei greve. 
-Mi ami anche per questo. Adesso chiama tuo fratello. 
-Ora?
-Si, davanti a me. In vivavoce. E passami il pupo, che lo stai a scuote tanto che diventerà scemo come tuo padre.

L'erede al trono inglese le passa il principino, si passa una mano tra i pochi capelli e estrae il cellulare. Compone il numero. Inserisce il vivavoce. Tre squilli. Harry risponde. In sottofondo una rumba e una voce femminile che mugola.
-Willieeee, ciao bro, senti, non posso stare al telefono-...
William sospira e, come è abituato a fare, parla con voce ferma e glaciale.
-Allora, congeda la biondona che ti stai bilanciando in grembo, smettila di bere, abbassa la musica e ascoltami, altrimenti chiamo la nonna, che già ti odia perché non sei il suo vero nipote.
Il discolo è riportato all'ordine.
-Dimmi tutto, sua altezza- Harry si mancia un "di sto cazzo" poco percepibile.
-Bisogna accompagnare una ragazza a un matrimonio.
-se si tratta di quei due cessi di beatrice e eugenia, te lo puoi solo sognare...
-Si tratta di mia cognata Pippa.
-Pippa chiappe-d'-oro-che-ti-strapperei-il-vestito-da-damigella-e-ti-prenderei-davanti-a-tutti-nell'-abbazia?
La mascella di Kate cade, scandalizzata.
-Lei.
-Ma me la posso fare?
-Ehm....Harry, ti saluta Kate.
-Sono in vivavoce, vero?
-Si.
-Ciao Katie. Certo che la accompagno tua sorella, quella gran topolona!
Kate rimane ammutolita.
-Vabbè Harry, ti faccio sapere i dettagli. 

Chiuso il telefono.
-Cotenta ora?
-Certo pucci pucci. Stanotte sarò la tua Anna Bolena, per ringraziarti.
William se ne imbaldanzito.
Kate si precipita sulla cornetta.
-Ma', ci sei? Hai sentito?
-Si, ottimo! Tutto secondo i piani!
-Mamma, non finirò mai di ringraziarti per avermi impedito di fare ingegneria areospaziale all'università! Ai tempi l'anno sabbatico e studiare storia dell'arte l'avevo visto come una punizione, ma devo dire che ne sono derivati discreti vantaggi.
Le due donne ridono.
-L'unico svantaggio è che per fare la principessa del popolo mi devo vestire da Zara. Due coglioni.
-Coraggio figlia mia. Adesso sistemiamo anche tua sorella e poi ci pensiamo.
-A proposito, dove si terrà questo matrimonio?
-A Monopoli, vicino Bari.
-No, quell'infame si scrofanerà pure un sacco di panzerotti e riso patate e cozze! 






Secondo me questa è l'unica spiegazione accettabile per questo.



lunedì 15 settembre 2014

Ritorno

Esco dalla Stazione. Sole e caldo, a casa ho lasciato temporali e freddo. Una valigia per mano, tracolla  del pc su una spalla, tracolla della borsa sull'altra. Sono il Rambo dei bagagli. Che oltretutto non sono completi. Al solito, alla mia partenza segue pacco.

Mk faccio strada tra la folla, verso il marciapiede. Un ragazzo che fa volantinaggio mi si avvicina e mi porge un foglietto. L'unica risposta che gli dò è sollevare le sopracciglia, indicando col memto i bagagli. Insiste.
-Perdonami, sto carica, ti sembra il caso?
Il giovinetto accanna.

Trovo il mio posto nel mondo sul marciapiede.
Un paio di tassisti abusivi mi chiedono se mi serve un passaggio.
-No, la ringrazio, sta venedo un'amica arendermi.
Si allontano, pensando chd non sono piu tempi questi, quando erano giovani loro mica tutti i ragazzi giovani avevano la macchina, adesso tutti viziati, girano per Roma e sono convinti di avere in mano il mondo, cheoi, imvece di andare a prendere le amiche alla stazione, non sarebbe il caso andassero a lavorare?  O tempora, o mores.

Vengo investita da ondate di turisti, che si possono classificare ad occhio nudo.
Ecco le tre giovani inglesi, vestite in maniera identica con abiti lunghi e cappelli di paglia, perché qiando vai in Italia ti vesti come gli italiani.  Una coppia di tedesche sui 30 anni ha due completiappaiati, in colori fluo, con gonne cosi corte da voler rimembrare le gemelle Kessler.  L'effetto non è riuscito.
Coppia nordica attempata, bermuda, sandalo lei, scarpa da trekking lui, calzimo bianco di ordinanza, zaini sul davanti, cappelli idro e foto repellenti, sbaffo di crema solare sul naso, comunque impietosamente rosso, guida turistica in mano.
Gruppo di giovani americani caciaroni, urlano e si chiamano a vicenda, zaimi da imter rail, qualcuno ha anche lo skateboard. I più chiari sono impietosamente rosso aragosta. La crema solare è un optiomal, se vai in inter rail nell'Europa del sud, tornare senza strati di pelle fa figo.
Giovani domne asiatiche marciano compatte, vestite integralmente da Zara e H&M, come visto da catalogo.
Uomini in completo si lamentano in accento lombardo che questa città un caos, Roma è sud. Allentano la cravatta e fanmo scivolare l'occhio sulle ragazzette e donne che passano.

Tra la calca io e un uomo di colore che fa volantinaggio. Nero come l'ebano.

-Te stanno a venì a prenne?
A sentirlo potrebbe essere cresciuto a Tor Pignattara.
-Si.
-E mettite all'ombra, che se no ti scalli.
-Non posso allontanarmi troppo, non c'è parcheggio.
- Te viene a prende la famiglia?
-Si.

In quel momento vedo la mia amica C. che si sbraccia in doppia fila. Mi rimporvera perchè ho fumato e non rispondo al cellulare. Carichiamo,  mi abbraccia, ci mettiamo in macchina. Saluto il mio compagno di attesa.

Amo questa città.
Amo ricominciare con la mia famiglia ausiliaria.

Vostra e sciagattante,
Platypus

giovedì 11 settembre 2014

come gestire le paure

Non sono un'anima coraggiosa. Mai stata. Ho ancora strascichi di paure infantili, più o meno stupide. La più stupida è la paura dei tuoni, lampi e fulmini. Una paura che non è stata aiutata dagli studi classici, con Zeus che ogni tanto si prodiga a incenerire gente, rapire vergini e simili. 
Quando in campeggio con gli ingegneri è venuto giù il diluvio, ecco, già pensavo a come lasciare le mie ultime volontà, mentre la tenda si illuminava a giorno, scossa dal vento e l'acqua scrosciava. Il mattino dopo, quando ho aperto la lampo, mi sono meravigliata che il mondo esistesse ancora. Non è stato un toccasana per i miei nervi. 

Ieri, qui in Puglia, ha cominciato a tuonare. Sola in casa con Nonna, con molto aplomb, m sono andata a fumare una sigaretta sul pianerottolo.  Meditavo già di andarmi a imboscare in qualche angolo, felpone di ordinanza, quando Nonna si affaccia sulla porta di casa.  

Si china sulla soglia e lascia un santino di Sant'Antonio da Padova.
La guardo. Mi guarda.
-Sant'Antonio da Padova,  protettore dalle tempeste.

E mi lascia lì, a ponderare.

Vostra e letteralmente sciagattante,
Platypus

lunedì 8 settembre 2014

It's the end of the hair as we know it

Di nuovo in Puglia, di nuovo a scrivere dal tavolo della cucina, unico punto dove il wi-fi sia apprezzabile. L'ultima settimana estiva nella casa paterna, una settimana di transizione né carne, né pesce. Una settimana in cui bisogna decidersi a mettere via i sandali estivi e i vestitini colorati e cominciare a cercare i cardigan di cotone/lana leggera. E scoprire che un paio sono partiti alla volta di Milano con Sorella. 
Una settimana che ha un che di onirico, perché è ricomparso il pc serio che ho tenuto nell'armadio tutta l'estate, e perché si comincia con il valzer dei saluti con le amiche del liceo, che partono, partono tutte, per un tirocinio a Taiwan o per il classico Erasmus in Spagna. E a me i saluti mettono un po' d'ansia, non si capisce perché, le avrei salutate anche se fossero rimaste qui, ma il fatto che ci siano mari di mezzo, beh, ecco mi sconvolge un po'. 

Mi devo anche abituare a cambiamenti ed epifanie. Epifanie e cambiamenti che ho somatizzato e che mi hanno fatto passare una simpatica giornata abbracciata alla bacinella, trasformata in un doccione di Notre Dame de Paris quando piove. 

L'epifania, la grave epifania è che questo è l'ultimo anno da studentessa, almeno secondo i miei piani. Se tutto dovesse andare come dovrebbe e come da programma, dall'anno prossimo non avrei più scuse. Dovrei cominciare a cercarmi lavori per i quali venire effettivamente pagata, un affitto non più in funzione dell'università, ma di un (si spera) posto di lavoro. Con l'anno prossimo il passaggio da ragazza a giovane donna sarà inevitabile agli occhi del mondo. In sintesi questo è l'ultimo anno che ho per pazziare e vivere senza problemi, hakuna matata. Crollerà anche la mia scusa per non vedere Girls, perché se adesso non mi ci rispecchio, beh, ci rivediamo quando mi arriveranno le prime bollette. O comincerà la quadriglia dei colloqui di lavoro. >Sto anche rosicando perché mi sembra di aver finito ieri la tesi della triennale e a ottobre ho già appuntamento con la relatrice della nuova. Pietà.
Gli ultimi quattro anni sono volati. Platypus, attenta a non farti sfuggire almeno questo. 

I cambiamenti. I cambiamenti sono legati all'epifania, altrimenti non crederei di essere in un racconto di The Dubliners, mi sembra ovvio. Cambiamenti poi... dobbiamo far sì che tutto cambi, perché rimanga alla stessa maniera. 
In realtà ci sono pensieri che bisogna lasciar andare, anche se è da un anno e più che me li tengo accoccolati tra le braccia, accarezzandoli e stritolandoli. Il cambiamento è necessario, me ne sono resa conto l'altra sera, mentre per la prima volta mi mettevo veramente a nudo. Ecco, via tutti gli strati, io sono questa e per la prima volta mi faccio vedere, per la prima volta ascolto veramente cosa hai da dire. Poi le mie paturnie me le rimetto addosso, ma qualche pezzo provo a lasciarlo per strada. 
[Inutile che vi dica che, una volta passata la nausea, tutte le piccole Platypus, Over Rational, Over sensitive, e company, si  sono unite in un coro infernale cantando Let it go di Frozen].


Questo è quanto. Decisioni e tentativi di miglioramente seguiranno. Al momento rimango un po' nel limbo. 

Solo una grande decisione è stata presa: cambio taglio di capelli. Un modo come un altro di cambiare testa.


Vostra e sciagattante,

Platypus

mercoledì 3 settembre 2014

Ok, il prezzo è giusto!

Mi sono presa un po' di pausa. 

Volevo essere leggera, ma non è evidentemente una politica che su di me riesce. Per questo motivo, in questi giorni in cui la tastiera del pc è stata la mia peggiore nemica, ho letto, guardato vecchie foto, ascoltato vecchie canzoni e ho pensato. Ho pensato tanto. Ho pensato tanto a me.

Ho pensato a chi e a come voglio essere nella vita, a come fare per diventare un po' il giusto mezzo tra quello che sono e chi vorrei essere. Ho realizzato che anche in squadra lavoro bene, io che ero solo per me stessa. Ho contato le persone sulle quali penso di poter fare affidamento e il numero è cresciuto dall'ultima volta. Ho pensato che se le sigarette non mi uccideranno, beh, di certo non mi faranno bene, ma ho ripreso a fumare lo stesso. Mi sono fatta raccontare un sacco di storie dai miei nonni, di come si sono conosciuti e innamorati, della loro infanzia, e ho pensato anche a quello. 

Ho pensato che anche se sono circondata da gente, a volte mi sento sola e vuota. E stupida, perchè so di non esserlo. Ho pensato che mi sono stancata di uscire con gente che per me non va bene. Ho pensato che tre ragazzi che mi chiedono di uscire e poi non si fanno sentire mai più, formino una casistica un po' troppo alta. Non è che è solo il resto del mondo stronzo, magari c'è qualcosa in me che allontana i papabili. Ho pensato già ai nomi da dare ai miei gatti o ai miei cani, in un lontano futuro. Ho pensato che trovare qualcuno con cui dividere la via non è scontato. 

Mi sono guardata dentro e ho visto che cose piccole di cui alla gente non importerebbe nulla, ecco, quelle cose mi lasciano ferite non indifferenti. Ho provato a rattopparne qualcuna, ma non sono mai stata brava a cucire. Mi sono limitata a vederle cicatrizzarsi, solo che ogni tanto mi muovo e qualcuna si riapre, sanguina un po'. Così posso passare venti minuti buoni a struggermi per quel ragazzino che a 12 anni non si volle mettere con me perché facevo "schifo ai cani". Robetta così.

Non sono fatta per la leggerezza. Non sono fatta per gli appuntamenti al buio con bidone. Non sono fatta per un sacco di cose. 

Ma questo non mi butterà giù. 
Una mia amica una volta mi ha detto che io sento le emozioni un po' più forti, nel bene e nel male. Tutti questi miei dolori, queste melanconie,sono il prezzo da pagare per la gioia folle e indisciplinata, per il perfezionismo nello studio e nel lavoro, per l'amore incondizionato che offro ai miei amici. 

Il prezzo mi sembra giusto.

Anche il mare ogni tanto è in tempesta, ma poi si placa.
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