Il giorno dopo era il
D-day: avrei cucinato per la famiglia di E. Il mio piano prevedeva di andare
in città al mattino, prendere il traghetto per Staten Island, vedere da lontano
la statua della Libertà, tornare a Manhattan, visitare il Museum of Sex, andare
da Eataly a fare la spesa, tornare in New Jersey e mettermi ai fornelli.
La statua della libertà
posso capire che abbia un grande valore per gli Americani. Chiunque scenda per
visitarla e poi andare a Ellis Island lo fa perché vuole cercare il nome dei
suoi antenati nei registri. Sarà perché hanno relativamente poca storia
pubblica, ma gli americani sono fissati con la storia privata. Se ci si pensa,
dalla guerra di secessione in poi, tutte le guerra, la storia bellica è
ESTERNA. L’ultimo grande pezzo di storia interna è stato il movimento per i
diritti civili negli anni ’60-’70, l’attentato alle torri nel 2001. Il resto
non è storia, ma cronaca. Dove trovare la propria storia, allora? Nella propria
genealogia. Perché se io so che mia nonna è arrivata qui con una valigia di
cartone e adesso io abito in una casa con piscina, la mia storia è quella
dell’american dream. La gente ci tiene tantissimo alla propria ascendenza:
siamo prima di tutto americani, ma giochiamo a chi riesce ad andare più
indietro, chi ha l’albero genealogico americano più lungo. Prima del 900? Ok,
lungo, ma vuoi mettere con i miei antenati che sono arrivati con i
Puritani? Da più tempo si è in America,
più è facile individuare la propria posizione sociale. A confronto, per il
fatto che io riesco a risalire solo fino ai trisnonni (e solo dal ramo
paterno), a confronto io sono figlia di nessuno.
Il musem of sex è stato
veramente divertente, perché, oltre a disegni di Keith Hearing e di Picasso,
statue falliormi, vagine e retrospettiva su Linda Lovelace, lascia anche spazio
a un’interessante panoramica sul sesso animale. Madre, eccoti la brutta
notizia: le natarelle sono una delle poche specie a praticare lo stupro e la
necrofilia, come i pinguini e gli scimpanzé nelle guerre tra i vari gruppi.
Siamo così sicuri di voler tenere tutte quelle natarelle in bagno? Nessuno è al
sicuro. Il museo è un posto che non vuole scandalizzare, ma solo mettere nella
giusta prospettiva il sesso e il suo significato: una cosa naturale nelle sue
declinazioni, che non dovrebbe essere un taboo.
E poi Eataly. Caotica,
affollata, popolata da americani in sindrome da Stendhal che arraffano e
frugano formaggi, pasta, olio e salsa, che fingono di essere intenditori di
vino e olio e compiono, senza volerlo, crimini seri. Gli italiani nel mezzo li
riconosci subito: sono quelli che vanno a colpo sicuro, sbuffano perché c’è la
salsa mutti e non la cirio, e chiedere tanti per uno stuzzetto di formaggio è
un crimine.
Il pomeriggio, la
concorrente di Masterchef che è in me, era pronta per l’esterna con la sua
brigata. Il menù prevedeva focaccia, pasta al forno, melanzane grigliate con
glassa di aceto balsamico e scaglie di parmigiano, aperitiva con perorino di
fossa e glassa di aceto balsamico. La focaccia non è cresciuta come avrebbe
dovuto, il sugo per la pasta al forno non ha quagliato, l’unica cosa uscita
bene sono state le melanzane, che erano a prova di idiota, diciamocelo. Eppure,
eppure hanno mangiato e apprezzato tutto tantissimo (anche se me ne sono
accorta che aggiungevano discretamente il sale alla pasta al forno).
Grandissima meraviglia hanno destato le polpette, piccole e perfette (anni di
scuola di nonna Pia mica a caso) e l’utilizzo della glassa di aceto balsamico
ha causato amore infinito per i formaggi. Penso sia diventato un elemento
indispensabile per loro. Cucinando mi sono ovviamente scottata e
tagliuzzata variamente, quindi ho utilizzato i rimedi della nonna, olio sulle
bruciature (fa passare il gonfiore e non fa venire la vescica come l’acqua
fredda) e vino sui tagli che sanguinavano copiosamente (questo non so perché,
però nonna p. lo faceva sempre e smetteva di sanguinare). Quando delle
bruciature non è rimasto neanche un segnetto, grande meraviglia tra gli
americani.
Il giorno dopo altra
giornata campale: treno alle 7, e tutta la giornata a camminare su e giù per
Manhattan. Ho iniziato con il 9/11
memorial. Ne avevo parlato con E. e C. il giorno prima. Non possiamo capire
veramente a portata dell’evento. Dove abitano loro tutte
le famiglie hanno almeno un genitore che fa il pendolare per New York. Quel
giorno tutto il New Jersey si è dovuto fermare. I bambini non sono stati fatti
uscire dalle scuole, perché non si sapeva se ci sarebbe stato qualcuno ad
aspettarli a casa. Parecchie persone sono sopravvissute alle torri. Mi hanno
raccontato di storie di civiltà all’interno degli edifici, di come un loro
vicino si sia salvato perché, nonostante l’’incendio, avesse preso l’ascensore.
Chi aveva deciso di scendere per le scale non aveva fatto in tempo.
Dove prima c’erano le
torri adesso ci sono due grandi fontane monumentali, con incisi i nomi delle
vittime. Le vasche sono come una ziqqurat invertita, sempre più profonde, fino
a quando al centro non c’è un buco nero profondo e imperscrutabile. Ogni tanto,
incastrata in qualche nome c’è un fiore. Uno dei posti più tristi che io abbia
mai visto.
Dopo le torri, la
seconda tappa è stata Washington Square, immortalata in August Rush e in Harry
ti presento Sally. È nella zona dell’università, ci sono un sacco di artisti di
strada, c’èera un tip0o che suonava il pianoforte a coda, non scherzo. Un posto
che magari non è così importante, ma dal punto di vista del pellegrinaggio
filmico è stato NECESSARIO andare lì e sentirmi Let’s call the whole thing off di Luis Armstrong. Da lì di nuovo sulla metro
e Central Park, da dove sono andata al Metropolitan, dove ho ovviamente
inseguito Van Gogh. Fun fact: in questi musei, divisi per sezioni, c’è sempre
la sezione Arte Americana e di solito si tratta di ritratti (brutti) e di mobili e argenteria.
Tutto il resto è roba europea, asiatica e poi il tempio di Duran, che l’Egitto
ha regalato angli stati uniti negli anni ’60. Della serie, se non avete idee
per il mio compleanno, cof cof… In alternativa mi sono convinta che un mio ritratto
in stile Klimt farebbe un figurone in salotto. A sono solo idee, eh.
Il Gugghenheim museum,
invece, si è rivelato una grande delusione. Bellissima la struttura in sé, ma
poca arte e molto concettuale, troppo persino per me. E poi sono partita
all’esplorazione di Central Park, anche qui guidata da film e serie tv, per poi
arrivare agli Strawberry Field, al memorial per John Lennon. A questo punto si
era fatto tardi e ho salutato New York.
A casa di E., sua madre
mi ha regalato degli orecchini fatti da lei e mi ha raccontato la sua giornata.
All’asilo era il giorno dell’esercitazione per il Code Blue. Il code Blue è
l’evenineza di un’irruzione di persona armata nella scuola. Gli Americani sono
strani. Il sesto emendamento, quello che consente di girare armati, sarebbe un
presupposto di libertà, ma se obbliga bambini di tre anni a fare
l’esercitazione chiudendosi nell’armadio e rimanendo in silenzio, forse
qualcosa la dovreste rivedere, eh. Ma niente di personale.
Il giorno dopo treno. Philly, here I come!
Vostra e sciagattante,
Platypus
Se non erro il vino si mette sulle ferite perchè leggermente battericida ;)
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