E giovedì,
Philadelphia, la città dell’amore fraterno. Appena arrivata, il tempo di
lasciare le valigie in albergo e via all’esplorazione! Il centro della città
non è grande, è tutto nel raggio di massimo tre quarti d’ora di camminata a
passo di marcia. Prima di esplorare, però, era
necessario riempire lo stomaco. Ho pranzato in un diner all’interno del Reading
Market, con una classica Philly Cheesesteak. Anche in questo caso sentivo il
colesterolo salire, ma ne è valsa veramente la pena. Nel pomeriggio ho girato l’Indipendence Park,
un parco federale dove sono concentrati tutti i posti di importanza per la
guerra d’indipendenza. Sono andata a vedere dove abbiamo perso le colonie, con
una grande tristezza nel cuore (queen Betty in my heart). Tra le altre cose, ero l’unica persona adulta
senza bambini, oddio, oltre a me c’erano magari anche un paio di pedofili. A
parte questo e le guide vestite come i ranger dell’orso Yoghi, ho notato che
potuto fare altre annotazioni sul modo degli americani di vivere la storia.
Sempre per il fatto che ne hanno relativamente poca, sono fissati con i
simboli, con gli oggetti, con l’aneddotica spicciola. E quindi viva la Liberty
Bell, viva la storia di Betsie Ross, anche se si tratta di una truffa a scopo
di lucro, ma lasciamo perdere. Hanno anche un intero museo dedicato alla loro
Costutizione, molto bello, molto interattivo, molto MMurican, con un
patriottismo quasi da caricatura. Se la sentono caldissima. Ho passato il resto
del pomeriggio a vagare per il quartiere vicino al mio albergo, pieno di
gallerie d’arte, negozi di vestiti hipster e negozi di libri usati. In uno di
questi mi sono rintanata per riposare le gambette stanche, the Book Trader. Si
tratta del genere di negozio di libri che risponde proprio all’idea di
libreria: scaffali alti fino al soffitto, cunicoli di libri e ogni tanto
piccole oasi per leggere. Il genere di libreria che mi aprirei negli anni della
pensione se non dovessi essere sufficientemente in salute per viaggiare. Al
rientro in albero, in ascensore vengo approcciata da questo sessantenne, che mi
invita ad andare al casinò con lui. Tra le varie possibilità che mi si
presentano davanti, opto per buttarla in caciara: sorrido e declino
graziosamente, adducendo come causa le forti nausee dovute alla gravidanza.
Sono stata lasciata in pace.
Il giorno dopo,
Philadelphia Museum of Art, con la scalinata di Rocky. Inutile dire che per
fare la splendida ho provato a farla di corsa con Eye of the Tiger in cuffia.
In cima, invece di sollevare i pugni seguita da bambini, ho sputato il polmone
sinistro, lo stomaco e la mia lingua era srotolanta fino a raggiungere la base
della scalinata. Nel museo mi sono incantanta, ovviamente, davanti ai Girasoli.
Tappa successiva: Franklin Institute. Fighissimo e bellissimo. Molto orientato
e rivolto ai bambini, Carmine ci si sarebbe perso per ore. Come del resto ho
fatto io, esplorando il cuore gigante, facendo gli esperimenti nella sezione
del cervello. La parte più misteriosa è stata lo spettacolo al planetario.
Misteriosa perché sono entrata, si sono spente le luci e mi sono svegliata 20
minuti dopo, a spettacolo finito, con il bambino seduto accanto a me che
chiedeva alla madre se fossi morta. Sempre camminando,
poi, passando per la statua Love, sono arrivata nella zona sud della città, per
visitare i Philadelphia’s Magic Garden. La zone sud della città è stata
letteralmente colonizzata dagli artisti negli anni ’60, dando una svolta alla
vita artistica della città. I magic Garden sono una casa rilevata da Isaiah
Zagar, artista, che l’ha resa un’opera d’arte. Decorata con mosaici
tridimensionali ricavati da oggetti di risulta, nel cortile ha creato un
labirinto multipiano, bellissimo e affascinante, disordinato eppure con un
disegno ben preciso.
Paradossalmente
Philadelphia mi è piaciuta più di New York, mi è sembrata un po’ più vivibile,
un po’ più misura d’uomo. Questo spring
break mi ha dato anche la conferma che mi piace abbastanza viaggiare da sola,
con i miei tempi, soffermandomi sulle cose che mi interessano e bypassandone
completamente altre. Camminare con una
stordita libertà sapendo di essere padrona del mio tempo, di poter decidere di
cenare o saltare il pasto perché sono troppo presa dal vicinato e dai paesaggi.
Libera.
Certo, la libertà e il
viaggiare da soli non è la perfezione. Tipo che sabato era San Patrizio e io
furbona avevo una maglietta verde. No, non avrei dovuto, le uniche persone in
verde eran le persone che facevano la bar crawling e che già alle 11.30 erano
indecorosamente ubriache. Mi sono beccata un sacco di occhiatacce, anche se ero
perfettamente sobria.
E poi di nuovo attraverso i territori Hamish, di nuovo al college. Con la tesi che mi alita sul collo.
Vostra e sciagattante,
Platypus
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