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martedì 14 gennaio 2014

Non è colpa mia, ma del biliardino

Gli ornitorinchi femmina si distinguono dal maschio solo per lo sperone avvelenato. Per il resto si somigliano molto. Essendo io, almeno spiritualmente e come animale totemico, un ornitorinco, rientro alla perfezione nel caso. Non sono esattamente la creatura più femminile di questa terra. Certo, mi adorno e mi trucco e posso passare ore davanti ad una vetrina in sindrome da Stendhal da scarpe, ma nei modi..no, nei modi, no, c'è poco da fare.

La mia è però una generazione che le colpe le scarica su qualcun altro, quindi potrei guardarmi un attimo dentro e cercare qualcuno o qualcosa con il quale giocare simpaticamente a scaricabarile. Dopo una profonda ed intensa seduta di introspezione, ho trovato il colpevole nel biliardino, nel calcio balilla. Può  sembrare un gioco innocente, ma non lo è. 

Sin da quando ho avuto un coordinazione abbastanza decente, è capitato che al mare Padre mi mettesse tra due stecche, in pieni su una sedia, spiegandomi pazientemente che no, non si rulla*, no, non si fa il gancio**, che la porta nella quale devi mettere la pallina è l'altra e che no, la suddetta pallina non si mangia. Gli anni sono passati, ma una cosa non cambiava: io, al mare che, attorniata da amici maschi, giocavo al biliardino. Mentre le amichette giocavano con le Barbie e poi a burraco, io avevo una schiera di amici che mi vedevano come unO di loro.

Penso di averci investito svariate paghette estive, di gettone in gettone, sempre più costosi man mano che si passava all'euro ed aumentava l'inflazione. Fino ai dieci anni non ho avuto problemi, giocavo tanto con i maschi ero ero ben accetta, nonché competitiva e faina come poche. Arrivò anche l'anno in cui mi cugino ricevette in regalo un biliardino. Fu la fine. 

L'estate dei miei undici anni tutto è cambiato. 
Prima giornata al mare. Prima partita dell'estate, già la pregustavo. E poi, il dramma. Nessun maschio voleva stare in squadra con me. Nessuno. E quando finalmente mi vollero far giocare, ecco che in attacco, non entravo più tra le stecche. No, non ero ingrassata: i geni materni si erano prepotentemente destati ed ero fornita di fianchi. Non il seno, che già da un paio d'anni mi obbligava all'utilizzo del pezzo di sopra del costume, non il ciclo, ma i fianchi mi comunicarono che il mio corpo era ormai femminile. E che tutte le partite di biliardino avrei dovuto giocarle a distanza e chinata in avanti. E che, nonostante brava, ero agli occhi dei ragazzini una specie di aberrazione.A undici anni ho detto così addio a quelle violente partite, nel corso delle quali ho imparato la maggior parte delle parolacce che conosco. Si, continuavo a giocare, ma in soggezione. 
Fino a quando tutti hanno raggiunto l'età in cui l'amica Femmina-ma-che-non-si-comporta-come-tale è diventata utile per fare da ponte nelle questioni di cuore. Ero diventata una compagnona.

A quattordici anni un'altra partita a biliardino mi ha fatto capire che stavo sbagliando qualcosa.
Vacanza studio in Inghilterra, io cotta come una pera per Lukas, bietolone tedesco alto e dinoccolato, biondo come pochi e con una cosa che all'epoca descrivevo come barba, ma che non era altro che lanugine.  Su consiglio di un'amica più navigata di me, lo invito a fare una partita a biliardino, un singolo. Al biliardino accanto giocava questa mia amica con la sua di cotta. C'è poco da dire: lo asfaltai. Al biliardino accanto la mia amica fingeva di non saper giocare ed ecco che ad un certo punto parte la lezione di biliardino, tipo lezione di golf. Il suo tedescone dietro di lei che le spiega come muovere il polso e come marcare e di lì a poco scatta il limone internazionale ed interculturale. Bella tattica, penso io. E mi offro di insegnare a Lukas a tirare. Lui mi guarda e se ne va, tra un coro di risate teutoniche.

Caro Lukas, ovunque tu sia, sappi che mi spiace per quel coro di risate che ti seguì nella tua uscita dalla Common Room. Mi spiace, mi spiace veramente, ero giovane e non capivo come l'essere battuto da una ragazza potesse violentare la tua psiche da quindicenne. A mia discolpa devo dire che tu non sapevi manco dove stesse di casa il biliardino.

Più tardi quella sera mi beccai una lavata di capo sul fatto che non potevo comportarmi come un maschio se volevo piacere e che, per carità, la smettessi di dire parolacce ogni volta che sbagliavo tiro. E che per favore non provassi a vincere a tutti i costi.

"Con questa non c'è speranza. E le togliessimo le mani invece della voce?"
La lezione non l'ho mai imparata. Gioco ancora a biliardino con i ragazzi, sono una loro compagnona e non mi vedono mai come un essere di sesso femminile. Gioco ancora e sempre per vincere. Ho sostituito il vario panorama di imprecazioni italiane con un "merde" francese sibilato, perché mi sembra un attimo più fine. La mia assidua frequentazione dei biliardini mi ha dato solamente modo di espandere il ciclo di amicizie maschili. Ed il mio essere mascolina, con i testicoli retrattili all'occasione.

Alla fine credo che perdere volontariamente a biliardino non faccia per me. Quindi magari la colpa del mio essere così non è neanche di questo gioco. Ma allora la responsabilità è solo mia.  Più facile dare la colpa a quegli omini di plastica rossa e blu e alla Garlando in generale.

Ma mai e poi mai perderò appositamente una partita per non ferire l'orgoglio di un ragazzo. Mai. Posso fingermi esperta di letteratura russa, di calcio, dei cicli riproduttivi delle piante carnivore, della lana merinos e dei problemi intestinali dei Cocker Spaniel. 

Davanti ad un biliardino io gioco tosto. E sono fatti suoi.

Vostra e sciagattante,

Platypus

1 commento:

  1. Ahahah, fai bene! Io non ammetto che mi si faccia vincere, anche se non sono così brava. Non sai quanto piansi quando da bambina scoprii mio padre che mi lasciava vincere!

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