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martedì 3 dicembre 2013

Libri che mi hanno cambiato la vita: La Prosivendola, Pennac




 Inauguro oggi una rubrica, della quale probabilmente poco ve ne fregherà, ma verso la quale io nutro sconfinato e smisurato amore: I libri che mi hanno cambiato (la vita e non solo).
Fino ai dodici anni sono stata una bambina relativamente normale. Quando mi chiedevano che cosa volessi fare nella vita rispondevo la cameriera (strano ma vero), il medico, la giornalista o qualsiasi risposta del genere. Tutte ipotesi abbastanza realistiche. Poi a dodici anni, il patatrac: mi sono innamorata. E mica di una tenera passione infantile, no, un amore forsennato e totalizzante. Mi sono innamorata della saga della famiglia Malussène.
Comprendetemi: ho sempre amato leggere. Sono rimaste famose in famiglia le mie maratone di lettura, record imbattuto i primi quattro Harry Potter, letti tutti d’un fiato in tre giorni e dieci ore, con pause per dormire. Fino a dodici anni mi era sempre stata inculcata la nozione che a chi piace leggere deve piacere per forza anche scrivere. Per quanto mi riguarda mi posso produrre in racconti, a sedici anni ho avuto anche io quell’irritante fase delle poesie d’amore (brutte, per carità, bruttissime). Ma un libro? Non credo riuscirei mai a produrre un qualcosa che abbia un senso compiuto più lunga di 10 pagine. A 12 anni meno che mai. La precoce e melodrammatica consapevolezza che pur amando i libri, non ne avrei mai scritto uno (si, ero molto melodrammatica già in tempi in cui le altre bambine giocavano con le Barbie), ecco, questa consapevolezza mi logorava. 
Al di là dell’innocenza che può trasparire dall’amore per un libro (o come in questo caso, più libri), se adesso studio quello che studio, lo devo a Daniel Pennac. In particolare ad un suo personaggio. Certamente, Julie è avventurosa, una donna che sa il fatto suo, ma difficilmente mi sarei mai vista ad operarmi di appendicite da sola o a resistere alle torture. Benjamin Malaussène è dolcissimo, responsabilissimo, ma una vita da capro espiatorio non fa per me. Clara ha la sua fotografia, ma per una che finisce sempre per mettere il dito sull’obbiettivo mentre scatta, non è il massimo. Jeremy troppo teppistello, il Piccolo troppo piccolo, Therèse troppo veggente. E poi c’è lei: Isabelle, o meglio la Regina Zabo.
Poi ho letto di questa donna, che i libri li creava senza scriverli: la Regina Zabo i libri li fa scrivere ad altri. Eppure, quando un libro esce è in parte anche suo. Lei ha coccolato J.L.B., lei cura, taglia, deride i libri scritti male. Lei può. La Regina Zabo sa riconoscere un inchiosto scadente, la grammatura della carta e la provenienza. La Regina Zabo ama i libri, li legge e li domina anche materialmente.
Dai dodici anni in poi, alla domanda “Che lavoro vuoi fare da grande?”,  la risposta (a parte qualche altro fugace flirt con altre professioni) è stata “L’editrice”. E più o meno la gran parte delle scelte fatte nella mia vita sono state orientate a raggiungere questo obbiettivo.
Magari qualcuno avrebbe dovuto dirmelo che l’editoria era in crisi. Sarei partita più preparata. Ma sarei partita comunque.

Il fatto che adesso si siano decisi a fare un film su Il paradiso degli orchi, poi, è stato il più bel regalo di Natale che potesse arrivarmi (in anticipo).

-Lo sai che probabilmente lo criticherai dall'inizio alla fine e che ti deluderà? - mi ha fatto notare una mia amica.
-Certo, è per questo che non vedo l'ora. Adesso potrò fare la spocchiosa, quando la gente mi dirà che ha visto il film, ma non ha letto il libro. Potrò ergermi e dire: "Il libro è molto meglio,anzi, dovresti leggerlo, quello e tutto il resto della saga". Solo allora la mia felicità sarà piena ed i miei oscuri riferimenti comprensibili al resto del mondo (e del volgo).
Vostra e sciagattante,

Platypus

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