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lunedì 23 marzo 2015

Spring Break - 3. Di cucina e pellegrinaggi e chi ce l'ha più lungo (l'albero genealogico)

Il giorno dopo era il D-day: avrei cucinato per la famiglia di E. Il mio piano prevedeva di andare in città al mattino, prendere il traghetto per Staten Island, vedere da lontano la statua della Libertà, tornare a Manhattan, visitare il Museum of Sex, andare da Eataly a fare la spesa, tornare in New Jersey e mettermi ai fornelli.
La statua della libertà posso capire che abbia un grande valore per gli Americani. Chiunque scenda per visitarla e poi andare a Ellis Island lo fa perché vuole cercare il nome dei suoi antenati nei registri. Sarà perché hanno relativamente poca storia pubblica, ma gli americani sono fissati con la storia privata. Se ci si pensa, dalla guerra di secessione in poi, tutte le guerra, la storia bellica è ESTERNA. L’ultimo grande pezzo di storia interna è stato il movimento per i diritti civili negli anni ’60-’70, l’attentato alle torri nel 2001. Il resto non è storia, ma cronaca. Dove trovare la propria storia, allora? Nella propria genealogia. Perché se io so che mia nonna è arrivata qui con una valigia di cartone e adesso io abito in una casa con piscina, la mia storia è quella dell’american dream. La gente ci tiene tantissimo alla propria ascendenza: siamo prima di tutto americani, ma giochiamo a chi riesce ad andare più indietro, chi ha l’albero genealogico americano più lungo. Prima del 900? Ok, lungo, ma vuoi mettere con i miei antenati che sono arrivati con i Puritani?  Da più tempo si è in America, più è facile individuare la propria posizione sociale. A confronto, per il fatto che io riesco a risalire solo fino ai trisnonni (e solo dal ramo paterno), a confronto io sono figlia di nessuno.
Il musem of sex è stato veramente divertente, perché, oltre a disegni di Keith Hearing e di Picasso, statue falliormi, vagine e retrospettiva su Linda Lovelace, lascia anche spazio a un’interessante panoramica sul sesso animale. Madre, eccoti la brutta notizia: le natarelle sono una delle poche specie a praticare lo stupro e la necrofilia, come i pinguini e gli scimpanzé nelle guerre tra i vari gruppi. Siamo così sicuri di voler tenere tutte quelle natarelle in bagno? Nessuno è al sicuro. Il museo è un posto che non vuole scandalizzare, ma solo mettere nella giusta prospettiva il sesso e il suo significato: una cosa naturale nelle sue declinazioni, che non dovrebbe essere un taboo.
E poi Eataly. Caotica, affollata, popolata da americani in sindrome da Stendhal che arraffano e frugano formaggi, pasta, olio e salsa, che fingono di essere intenditori di vino e olio e compiono, senza volerlo, crimini seri. Gli italiani nel mezzo li riconosci subito: sono quelli che vanno a colpo sicuro, sbuffano perché c’è la salsa mutti e non la cirio, e chiedere tanti per uno stuzzetto di formaggio è un crimine.
Il pomeriggio, la concorrente di Masterchef che è in me, era pronta per l’esterna con la sua brigata. Il menù prevedeva focaccia, pasta al forno, melanzane grigliate con glassa di aceto balsamico e scaglie di parmigiano, aperitiva con perorino di fossa e glassa di aceto balsamico. La focaccia non è cresciuta come avrebbe dovuto, il sugo per la pasta al forno non ha quagliato, l’unica cosa uscita bene sono state le melanzane, che erano a prova di idiota, diciamocelo. Eppure, eppure hanno mangiato e apprezzato tutto tantissimo (anche se me ne sono accorta che aggiungevano discretamente il sale alla pasta al forno). Grandissima meraviglia hanno destato le polpette, piccole e perfette (anni di scuola di nonna Pia mica a caso) e l’utilizzo della glassa di aceto balsamico ha causato amore infinito per i formaggi. Penso sia diventato un elemento indispensabile per loro. Cucinando mi sono ovviamente scottata e tagliuzzata variamente, quindi ho utilizzato i rimedi della nonna, olio sulle bruciature (fa passare il gonfiore e non fa venire la vescica come l’acqua fredda) e vino sui tagli che sanguinavano copiosamente (questo non so perché, però nonna p. lo faceva sempre e smetteva di sanguinare). Quando delle bruciature non è rimasto neanche un segnetto, grande meraviglia tra gli americani.
Il giorno dopo altra giornata campale: treno alle 7, e tutta la giornata a camminare su e giù per Manhattan.  Ho iniziato con il 9/11 memorial. Ne avevo parlato con E. e C. il giorno prima. Non possiamo capire veramente a portata dell’evento. Dove abitano loro tutte le famiglie hanno almeno un genitore che fa il pendolare per New York. Quel giorno tutto il New Jersey si è dovuto fermare. I bambini non sono stati fatti uscire dalle scuole, perché non si sapeva se ci sarebbe stato qualcuno ad aspettarli a casa. Parecchie persone sono sopravvissute alle torri. Mi hanno raccontato di storie di civiltà all’interno degli edifici, di come un loro vicino si sia salvato perché, nonostante l’’incendio, avesse preso l’ascensore. Chi aveva deciso di scendere per le scale non aveva fatto in tempo.
Dove prima c’erano le torri adesso ci sono due grandi fontane monumentali, con incisi i nomi delle vittime. Le vasche sono come una ziqqurat invertita, sempre più profonde, fino a quando al centro non c’è un buco nero profondo e imperscrutabile. Ogni tanto, incastrata in qualche nome c’è un fiore. Uno dei posti più tristi che io abbia mai visto.

Dopo le torri, la seconda tappa è stata Washington Square, immortalata in August Rush e in Harry ti presento Sally. È nella zona dell’università, ci sono un sacco di artisti di strada, c’èera un tip0o che suonava il pianoforte a coda, non scherzo. Un posto che magari non è così importante, ma dal punto di vista del pellegrinaggio filmico è stato NECESSARIO andare lì e sentirmi Let’s call the whole thing off  di Luis Armstrong. Da lì di nuovo sulla metro e Central Park, da dove sono andata al Metropolitan, dove ho ovviamente inseguito Van Gogh. Fun fact: in questi musei, divisi per sezioni, c’è sempre la sezione Arte Americana e di solito si tratta di  ritratti (brutti) e di mobili e argenteria. Tutto il resto è roba europea, asiatica e poi il tempio di Duran, che l’Egitto ha regalato angli stati uniti negli anni ’60. Della serie, se non avete idee per il mio compleanno, cof cof… In alternativa mi sono convinta che un mio ritratto in stile Klimt farebbe un figurone in salotto. A sono solo idee, eh.
Il Gugghenheim museum, invece, si è rivelato una grande delusione. Bellissima la struttura in sé, ma poca arte e molto concettuale, troppo persino per me. E poi sono partita all’esplorazione di Central Park, anche qui guidata da film e serie tv, per poi arrivare agli Strawberry Field, al memorial per John Lennon. A questo punto si era fatto tardi e ho salutato New York.

A casa di E., sua madre mi ha regalato degli orecchini fatti da lei e mi ha raccontato la sua giornata. All’asilo era il giorno dell’esercitazione per il Code Blue. Il code Blue è l’evenineza di un’irruzione di persona armata nella scuola. Gli Americani sono strani. Il sesto emendamento, quello che consente di girare armati, sarebbe un presupposto di libertà, ma se obbliga bambini di tre anni a fare l’esercitazione chiudendosi nell’armadio e rimanendo in silenzio, forse qualcosa la dovreste rivedere, eh. Ma niente di personale. 
Il giorno dopo treno. Philly, here I come!

Vostra e sciagattante, 

Platypus

1 commento:

  1. Se non erro il vino si mette sulle ferite perchè leggermente battericida ;)

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